Il neoministro Giovannini e la sua battaglia contro i trasporti e le infrastrutture poco sostenibili
Commentando la scorsa estate quello che poi sarebbe diventato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il neoministro dei trasporti Enrico Giovannini, all’epoca ‘semplice economista’ chiamato a contribuire al piano Colao, aveva detto: “L’accordo raggiunto in Consiglio europeo prevede alcuni punti molto qualificanti e condivisibili, per esempio il fatto che i progetti che verranno presentati […]
Commentando la scorsa estate quello che poi sarebbe diventato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il neoministro dei trasporti Enrico Giovannini, all’epoca ‘semplice economista’ chiamato a contribuire al piano Colao, aveva detto: “L’accordo raggiunto in Consiglio europeo prevede alcuni punti molto qualificanti e condivisibili, per esempio il fatto che i progetti che verranno presentati dovranno necessariamente, come precondizione per essere accettati, contribuire alla digitalizzazione e alla transizione ecologica, oltre che all’aumento della resilienza socioeconomica”. Poi aveva aggiunto: “Se io propongo di chiudere una centrale a carbone e di sostituirla con un impianto di energia rinnovabile, è evidente che sto contribuendo alla transizione ecologica. Ma se propongo di fare un ponte su cui passano solo automobili e Tir, e non treni, non è detto che passi: in ogni caso, l’onere della prova per mostrare che i progetti sono in linea con l’accordo europeo spetta al governo, il che può richiedere un certo lavoro”.
Per comprendere in maniera ancora più chiara ed esplicita l’imprinting che con ogni probabilità avrà per il prosieguo della legislatura il dicastero di Piazzale Porta Pia, giova ricordare che Giovannini è stato fra i fondatori, nonché portavoce, dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile. Il tema dominante del prosieguo di legislatura per il Ministero dei trasporti sarà soprattutto la sostenibilità, in coerenza con le linee guida imposte da Bruxelles per lo sviluppo delle infrastrutture ammesse ai finanziamenti inseriti nel Recovery Fund.
A preoccuparsi, dunque, dovranno essere soprattutto in particolare i trasporti e i progetti infrastrutturali considerati poco ‘green’, che da anni vengono individuati con precisione dal Ministero dell’Ambiente, in particolare quelli destinatari di sussidi pubblici. A questo proposito Ecco perché meritano particolare attenzione le parole pronunciate meno di tre mesi fa proprio da Giovannini, in qualità di portavoce di Asvis, in occasione di un webinar organizzato dal gruppo parlamentare del Movimento 5 stelle.
Nel mirino del neoministro erano finiti i Sussidi ambientalmente dannosi (Sad), che si contrappongono a quelli favorevoli, concessi ogni anno dall’Italia. “Non possiamo sperare di usare i 77 miliardi, la percentuale riservata alla transizione ecologica dal Next Generation Eu e poi continuare a spendere 19 miliardi all’anno in sussidi dannosi per l’ambiente. Queste due cose non stanno insieme” erano state le sue parole. “Occorre dunque riconvertire immediatamente i sussidi dannosi in aiuti a favore di scelte più sostenibili”.
Ma quali sono in Italia i Sussidi Ambientalmente Dannosi?
L’ultimo “Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli” è stato pubblicato dal Ministero dell’ambiente a luglio 2020 e si riferisce al 2019. Nel capitolo dedicato ai ‘Trasporti’ si legge a chiare lettere che “nonostante le politiche di riduzione delle emissioni messe in atto a livello europeo, le concentrazioni di particolato in atmosfera, alle quali il settore dei trasporti contribuisce in maniera rilevante, presentano livelli particolarmente elevati nel nostro paese, anche nel confronto con gli altri Stati Membri (Italia seconda dopo la Polonia per peggior qualità dell’aria)”.
In termini di emissioni prodotte misurate in particolato (PM = particulate matter), in valore assoluto il trasporto marittimo è il maggiore contribuente, davanti anche al traffico automobilistico, anche se l’incidenza dell’inquinamento per tonnellate di merce o per numero di persona trasportate delle navi ha un’incidenza molto minore rispetto ad altre modalità.
Un punto interrogativo riguarda il Marebonus (per il quale l’Italia ha stanziato 44,1 milioni nel 2017 e 48,9 nel 2018) perché i ‘Contributi per servizi marittimi per il trasporto combinato delle merci’ nell’ultimo catalogo sono qualificati come sussidio dall’effetto ambientale ‘incerto’.
Favorevole invece l’impatto di altri sussidi indiretti, come le agevolazioni sulla tassa d’ancoraggio per le navi che utilizzano porti di transhipment, e diretti, come il Ferrobonus e il Fondo rottamazione carri ferroviari merci.