Battaglia di numeri tra Amazon e i sindacati sulle adesioni al primo sciopero nazionale
sciopro Si è svolto ieri (22 marzo 2021, ndr) in tutta Italia il primo sciopero che ha coinvolto addetti di magazzino e autisti della filiera Amazon. La giornata di astensione dal lavoro era stata proclamata da Filt Cgil, Fit Cisl, Ulitrasporti dopo la rottura delle trattative con l’azienda su una serie di punti quali “la […]
sciopro Si è svolto ieri (22 marzo 2021, ndr) in tutta Italia il primo sciopero che ha coinvolto addetti di magazzino e autisti della filiera Amazon. La giornata di astensione dal lavoro era stata proclamata da Filt Cgil, Fit Cisl, Ulitrasporti dopo la rottura delle trattative con l’azienda su una serie di punti quali “la verifica dei carichi e dei ritmi di lavoro imposti, la verifica e la contrattazione dei turni di lavoro, la riduzione dell’orario di lavoro dei driver, la clausola sociale e la continuità occupazionale per tutti in caso di cambio appalto o cambio fornitore, la stabilizzazione dei tempi determinati e dei lavoratori interinali ed il rispetto delle normative sulla salute e la sicurezza”.
Possibile che le negoziazioni riprendano presto (i sindacati confederali auspicano di essere convocati dall’azienda a breve “in modo da non essere costretti a proseguire la protesta”), ma intanto la distanza tra le due parti viene rimarcata dalle rispettive dichiarazioni rilasciate a fine giornata.
Pari al “75%, con punte del 90% in alcuni territori” sarebbero state infatti le adesioni medie allo sciopero secondo i rappresentanti dei lavoratori, mentre Amazon ha diffuso una breve nota in cui ha riferito invece di un tasso di adesione “inferiore al 10%” all’interno dell’azienda e del 20% tra i fornitori dei servizi di consegna”.
Più nel dettaglio le sigle sindacali hanno parlato di una “protesta riuscita anche oltre le nostre aspettative considerando che mole lavoratrici e molti lavoratori si sentono “ricattabili” perché hanno contratti atipici”.
In conclusione Filt Cgil, Fit Cisl, Ulitrasporti sono tornati a chiedere all’azienda, che “si è arricchita enormemente grazie al boom del commercio online in tempo di pandemia”, di redistribuire “parte di questa ricchezza anche in termini di diritti ai suoi dipendenti”.
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