Reshoring o non reshoring? Al momento sono solo parole
Le enormi criticità che si sono manifestate nei trasporti e nella logistica delle merci via terra, mare e aria dallo scoppio della pandemia di Covid-19 hanno posto molte aziende di fronte all’interrogativo se sia o meno il caso di ridisegnare le proprie strategie di diversificazione geografica nella produzione e negli approvvigionamenti. In teoria pare che […]
Le enormi criticità che si sono manifestate nei trasporti e nella logistica delle merci via terra, mare e aria dallo scoppio della pandemia di Covid-19 hanno posto molte aziende di fronte all’interrogativo se sia o meno il caso di ridisegnare le proprie strategie di diversificazione geografica nella produzione e negli approvvigionamenti.
In teoria pare che tutti stiano prendendo seriamente in considerazione la possibilità di riavvicinare ai mercati di consumo i propri stabilimenti produttivi, o quantomeno di ridurre l’eccessiva esposizione nei paesi dell’Estremo Oriente. In pratica, però, a distanza di un anno e mezzo ancora nessuno, o molto pochi, hanno preso una decisione sul da farsi. Le aree del mondo maggiormente favorite per ospitare chi decide di trasferire i propri stabilimenti produttivi dall’Asia sono l’Europa orientale e il Nord Africa.
Negli ultimi giorni una delle frasi più ricorrenti che si sentono dire dagli addetti ai lavori della logistica nelle interviste e ai convegni è quella che “il reshoring delle produzioni sembra essere una probabile reazione delle aziende alle criticità subite nella distribuzione delle merci ma fino ad ora questa scelta non è ancora stata adottata e non è nemmeno scontato che questo accada”. La verità è che scelte di lungo termine come quelle di rilocalizzare la produzione richiedono tempo per essere attentamente esaminate e per valutare sia i pro che i contro.
“Il reshoring delle aziende italiane non è semplice” ha detto Alessandro Panaro, analista del centro studi Srm intervenendo in occasione di un convengo organizzato in settimana dai propeller club di Milano e Napoli. Lo stesso Panaro ha ricordato l’indagine condotta recentemente dalla Banca d’Italia su un campione di circa 3.000 imprese dove è emerso che il 60% di quelle con impianti all’estero non ha ridotto la propria presenza internazionale negli ultimi tre anni, né intende farlo in prospettiva. Parimenti, il 78% delle imprese con fornitori esteri non intende diminuirne il numero. Il 6% sta prendendo in considerazione la possibilità di rientrare completamente dall’estero e appena il 2% ha già deciso di farlo.
Il vicepresidente della federazione nazionale degli spedizionieri (Fedespedi), Domenico De Crescenzo, ha sottolineato come “l’elevato prezzo dei noli per il trasporto via mare di carichi containerizzati sta indebolendo la competitività dell’Europa e costringe gran parte delle merci a basso valore a non imbarcarsi perché non sarebbe conveniente”. Ciò significa precludere un’ampia fetta di mercato, geograficamente parlando, all’export italiano. “Sull’export non puoi optare per il reshoring, devi riuscire a stare sul mercato” ha commentato Ermanno Giamberini, presidente dell’Associazione campana corrieri, spedizionieri e autotrasportatori (Accsea), dicendosi allarmato per le sorti future dell’agroalimentare locale.
Secondo David Doninotti, segretario dell’Agenzia italiana commercio estero (Aice), «la digitalizzazione e le criticità attuali nella logistica comporteranno uno stravolgimento della globalizzazione e le aziende tendenzialmente “sposteranno sempre più le loro produzioni maggiormente a ridosso dei luoghi di consumo”, con ciò che ne consegue in termini di “accorciamento delle catene di produzione e logistiche”. Doninotti scommette dunque su un maggiore reshoring e una riduzione delle catene distributive che “favoriranno bacini produttivi come quello dell’Est Europa e del Mediterraneo”.
Chi invece si dice scettico su un ridimensionamento dell’Estremo Oriente come bacino produttivo per il resto del mondo è Riccardo Fuochi, presidente di Omlog nonché vertice dell’associazione Italia – Hong Kong, secondo il quale “non vedremo una grossa migrazione delle produzioni dall’Asia. Per varie ragioni le condizioni attuali non consentono a nessuna azienda di rinunciare all’Estremo Oriente come area di mercato per produrre e distribuire beni”.
Secondo Paolo Pessina, presidente di Assagenti, si assisterà “a un ripensamento delle catene produttive; non credo che ci sarà un reshoring fortissimo ma che qualcuno potrà pensare di riportare parte della propria produzione qua in Italia. Potrebbe essere un’opzione”.
Nicola Capuzzo
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