I supply chain director ripensano se stessi nel post-pandemia
Milano – Una riflessione sul ruolo del supply chain director nel contesto pandemico e post-pandemico, ma anche un momento di ‘autoanalisi’ per gli stessi manager – presenti in quantità nel pubblico – tra presa di coscienza della loro nuova centralità e l’ambizione di poter ricoprire ora anche posizioni di vertice massimo. Questo è stato in […]
Milano – Una riflessione sul ruolo del supply chain director nel contesto pandemico e post-pandemico, ma anche un momento di ‘autoanalisi’ per gli stessi manager – presenti in quantità nel pubblico – tra presa di coscienza della loro nuova centralità e l’ambizione di poter ricoprire ora anche posizioni di vertice massimo.
Questo è stato in sintesi l’incontro organizzato ieri a Milano da Randstad tramite la sua divisione Keystone (dedicata alla selezione di profili executive) per presentare una ricerca che si è concentrata appunto sul ‘ruolo attuale e prospettico del Supply Chain Director‘. Dall’indagine sono scaturiti spunti utili non solo per considerazioni astratte ma naturalmente anche per predisporre strategie di ricerca del personale o di rimpiazzo di cui tenere conto – ha evidenziato Alessandra Dealessi, Operation Manager di Keystone – “anche in occasione di piani di successione” (considerata la natura ‘familiare’ di diverse imprese italiane) o di “passaggi aziendali importanti“.
Cinquanta i supply chain director (Scd), in rappresentanza di altrettante aziende, coinvolti nell’indagine, che si è svolta tra l’aprile e il luglio di quest’anno. Tra queste, prevalentemente si è trattato di realtà medio-grandi (circa la metà dichiarava un fatturato superiore ai 500 milioni di euro e quasi la metà un numero di dipendenti superiore a 2000) e perlopiù del Nord Italia (minore la rappresentanza di realtà del Centro).
L’identikit del supply chain director ideale uscito infine dall’indagine è quello di un manager ‘olistico’, in grado di gestire la complessità crescente della propria funzione facendo ricorso non solo alle (irrinunciabili, ma ormai date per scontate) competenze tecniche, ad esempio in tema di logistica e trasporti o di It, ma anche alle cosiddette soft skills, in particolare quelle in materia di comunicazione. Utili, queste, non solo a motivare il proprio team o a far fiorire le competenze dei collaboratori, ma anche a ‘vendere’ meglio l’importanza della propria funzione all’interno dell’azienda (cosa peraltro favorita dallo scoppio della pandemia) e con i fornitori, con i quali in questi tempi è stato fondamentale avere rapporti “non solo basati sul prezzo”.
Tra le principali conclusioni dello studio, presentate da Flavia Dagradi, è emersa con forza come la pandemia abbia imposto il fatto che le decisioni vadano “prese non in un quadro completo, ma con una idea di scenario che va vista di volta in volta”. Una considerazione tornata anche nel dibattito finale in cui diversi tra i manager intervenuti hanno evidenziato la necessità di conciliare un approccio ‘day-by-day’ orientato al problem solving con una visione strategica, in cui però gli scenari potenziali devono essere aggiornati con una frequenza molto maggiore che in passato.
Originale in questo senso il punto di vista portato da Roberto Crippa, Supply Chain Director di Iwt Cleaning Excellence, che ha proposto di leggere la realtà delle catene del valore nel ‘new normal’ applicando un approccio ‘militare’, con la consapevolezza cioè che, come affermato dallo stratega Helmuth Von Moltke, “nessun piano di battaglia sopravvive al contatto con il nemico” e che il contesto in cui si opera è di tipo Vuca (ovvero caratterizzato da volatility, uncertainty, complexity and ambiguity).
Chiaramente la pandemia, è emerso ancora dalla ricerca, ha però mostrato anche i limiti di certe strutture aziendali. Diversi intervistati hanno evidenziato la necessità di investimenti in “sistemi e tecnologia” e in secondo luogo “sulle persone”. Il nodo vero però, secondo molti, è proprio quello della centralità della funzione della supply chain, che deve diventare “più integrata” nei processi e “allineata” a essi. Interessanti al riguardo due citazioni prese proprio dalle interviste: “Finalmente si è capito che noi non siamo ‘la logistica o i magazzini’ ma una funzione chiave per il successo dell’azienda” ha affermato uno dei supply chain director intervistati, mentre un altro di rimando ha però osservato che: “Da noi contano ancora molto le vendite, il marketing, la finanza…abbiamo ancora molta strada da fare”.
Una conseguenza di questa perifericità evidenziata dalla platea è che è inoltre molto difficile che un direttore della supply chain sia il candidato a cui si pensa per un successivo ruolo da Ceo, più spesso il ‘designato’ è ad esempio un direttore delle vendite. “Il problema è che loro stessi non ci credono” ha commentato Simona Amati di Keystone, evidenziando però che proprio alla luce della complessità assunta ora da questa funzione, e visto che il Scd sempre più dovrà sapere di vendite, finanza o It, l’ambizione a ricoprire ruoli di primo piano è ora più che legittima e va incoraggiata.
Restando in tema di aspirazioni professionali, la ricerca di Keystone-Randstad ha anche trattato il percorso ‘precedente’, quello cioè per diventare Scd. Secondo i manager che già lo sono, l’iter preferibile è quello che prevede il conseguimento di una laurea scientifica (preferibilmente in Ingegneria gestionale), una precedente esperienza nella stessa funzione per alcuni anni, la presenza di competenze in ambito omnichannel/digitali, una esperienza internazionale nel cv, così come la frequenza di master o percorsi formativi ad hoc completata durante il percorso lavorativo.
La attualità non poteva però non fare irruzione nel dibattito, andato in scena solo due giorni prima di quella che si prospetta come una giornata caldissima per il settore dei trasporti, in particolare stradali, per via dell’introduzione dell’obbligo del Green Pass. “La multimodalità diminuirebbe anche i rischi che si prospettano da qui a 48 ore” ha evidenziato Lucia Buffoli, Transport & Logistic Director di Mapei, presente all’incontro con un intervento centrato proprio sul tema della sostenibilità, che tuttavia ha poi ammesso come in Italia l’infrastruttura sia ancora “imperfetta” per una svolta decisa dei trasporti in questo senso.
Francesca Marchesi
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