Nel 2022 quattro spinte verso nuove crisi delle supply chain
Le crisi logistiche a cui si è assistito nel 2021 secondo Drewry hanno costretto i caricatori (beneficial cargo owner) a trovare soluzioni come il servirsi di porti alternativi, cambiare modalità di trasporto o pagare tariffe premium, senza però lasciare loro troppo tempo per pensare alla pianificazione. Per la società di analisi è però arrivato ora […]
Le crisi logistiche a cui si è assistito nel 2021 secondo Drewry hanno costretto i caricatori (beneficial cargo owner) a trovare soluzioni come il servirsi di porti alternativi, cambiare modalità di trasporto o pagare tariffe premium, senza però lasciare loro troppo tempo per pensare alla pianificazione.
Per la società di analisi è però arrivato ora il momento che si dedichino a questa attività, anche in considerazione del fatto che nel 2022 non mancheranno nuovi momenti di ‘disruption’ delle supply chain globali.
Quattro in particolare sono le cause di potenziali crisi, nuove o già conosciute, citate da Drewry.
La prima è il possibile riacutizzarsi delle tensioni sociali nei porti della West Coast degli Stati Uniti (quest’anno come visto già interessati da fortissime congestioni) che avevano causato una serie di blocchi nel 2015. In particolare secondo la società di analisi ci si potrebbe aspettare una fase di scontro tra l’Ilwu (International Longshore and Warehouse Union) e gli enti di gestione degli scali nel secondo trimestre dell’anno e anche oltre. Per questo motivo, Drewry suggerisce ai caricatori che importano dall’Asia negli Usa di evitare i porti della costa occidentale.
Lockdown generalizzati o chiusure più localizzate (in particolare in Cina, dove vige la politica zero-Covid) potrebbero poi secondo Drewry verificarsi in ogni momento e senza preavviso, creando ovvi problemi e limitando in ultimo il numero di viaggi delle navi.
La società evidenzia inoltre un fenomeno relativamente nuovo, cioè il fatto che i global carrier si stiano ‘ritirando’ dalle relazioni con gli Nvocc (non vessel operating common carrier) rendendo a questi ultimi impossibile offrire contratti di lunga durata ai cargo owner. Gli Nvocc, secondo Drwry, hanno peraltro mutato ruolo e politica di prezzo durante la pandemia offrendo soluzioni di breve termine, con tariffe premium come ‘ricompensa’ per avere trovato spazio in stiva o equipment.
C’è poi il tema dei cosiddetti Mqc (Minimum Quantity Commitment), cioè gli accordi in base ai quali Bco e carrier stabiliscono volumi e noli per un certo dato periodo (es. un anno) a un certo livello di servizio. Secondo Drewry i liner stanno chiedendo ai caricatori di spedire ogni settimana le quantità indicate nel Mqc “diviso 52”, insomma a volumi costanti, con la richiesta di un pagamento per i casi in cui la capacità totale non viene utilizzata. Per gli analisti la maggior parte dei caricatori “non è attrezzata” per gestire un impegno di questo tipo ed è pertanto probabile che il 2022 vedrà fiorire le dispute relative alla gestione dei volumi inferiori o superiori alle quantità settimanali stabilite nel Mqc.
Secondo gli analisti i Bco (in particolare quelli che importano dall’Asia) dovrebbero attrezzarsi per gestire queste richieste ad esempio intervenendo sulle operazioni di consolidamento all’origine e coordinandosi con i fornitori in Asia. Altre azioni di intervento suggerite riguardano appunto una maggior pianificazione e revisione delle operazioni, con miglioramenti delle previsioni sui volumi e nella loro comunicazione tempestiva ai carrier. La ‘guida’ cita poi anche la necessità di sviluppare un piano specifico per gestire le eventuali interruzioni di attività dei porti della costa occidentale Usa. La lista prosegue elencando la necessità di individuare fornitori logistici adeguati, rafforzare i rapporti con le compagnie di navigazione di riferimento e approntare dei piani di ‘business continuity’, nonché rivedere la propria supply chain cercando di evitare il “superinflazionato” costo del trasporto via mare containerizzato, che rimarrà su questi livelli almeno nel medio periodo.
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