“Il fashion tornerà di moda?”
La moda, che registrava da anni un andamento positivo, ha subìto un duro contraccolpo a causa della pandemia, visto il mutamento di esigenze dei consumatori e le criticità riscontrate nell’approvvigionamento, nella distribuzione e nelle vendite di articoli. A livello globale, nel 2020 la moda ha generato un export di quasi 900 miliardi di euro, circa i […]
La moda, che registrava da anni un andamento positivo, ha subìto un duro contraccolpo a causa della pandemia, visto il mutamento di esigenze dei consumatori e le criticità riscontrate nell’approvvigionamento, nella distribuzione e nelle vendite di articoli. A livello globale, nel 2020 la moda ha generato un export di quasi 900 miliardi di euro, circa i due terzi dei quali di abbigliamento e calzature. Le pelli sono il comparto ad aver registrato il crollo maggiore, seguite dal tessile, mentre per abbigliamento e calzature il calo è stato più contenuto. Tra i principali esportatori si evidenziano i Paesi dell’Asia emergente, come Cina, Vietnam, e Bangladesh ma anche l’Unione europea; tra gli Stati membri, l’Italia è uno dei pochi esportatori netti.
Lo ricorda Sace nel suo ultimo Focus On, un approfondimento dedicato anche alle potenzialità di ripresa dell’industria del fashion che rappresenta un primario cliente del trasporto aereo merci.
In Italia l’industria del fashion ricopre un ruolo strategico in termini di valore aggiunto e occupazione generati. Nel 2020 il nostro Paese ha esportato 46,7 miliardi di euro di articoli di moda, registrando una contrazione del 18,5%; lo scorso anno ha fatto segnare un recupero benché non completo, anche a causa del forte impatto della pandemia e del protrarsi di alcune criticità. Le imprese si mostrano ottimiste per le prospettive relative a quest’anno, sulla scia della ripresa attesa in importanti mercati di sbocco e di una maggiore propensione al consumo in un contesto di incertezza relativamente più contenuta rispetto al biennio precedente.
Le criticità nelle catene di approvvigionamento conseguenti alla crisi hanno innescato il dibattito sul reshoring come strategia percorribile anche dalle imprese della moda. “Sebbene sia ancora presto per un’analisi approfondita del fenomeno, alcune prime rilevazioni suggeriscono che non si sta assistendo a una vera e propria rilocazione manifatturiera; le imprese maggiormente internazionalizzate sembrano, infatti, aver reagito meglio alla pandemia” scrive sace.
Il settore è di fronte a profondi cambiamenti strutturali che rappresentano una sfida e richiedono uno sforzo innovativo alle imprese. La sostenibilità è diventata parte integrante di varie iniziative di rilancio post-Covid. “In questo senso, allo scopo di favorire l’economia circolare all’interno del sistema moda, a partire da quest’anno l’Italia ha introdotto l’obbligo di raccolta differenziata dei prodotti tessili con un target di recupero del 100%. Anche le imprese stanno agendo sempre più per limitare il proprio impatto ambientale in fase sia di produzione sia di ricerca e sviluppo, ma anche tramite servizi offerti al consumatore (ad esempio quelli di sartoria per incentivare la riparazione dei prodotti)” si legge ancora nel rapporto.
A sua volta, la digitalizzazione porterà ampie innovazioni al sistema moda lungo le diverse fasi della filiera. “A valle l’esperienza di shopping diventerà sempre più digitale, grazie alla maggiore diffusione dell’e-commerce su diverse piattaforme e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei camerini di prova dei negozi fisici. A monte, invece, l’applicazione della realtà aumentata permetterà di ridurre gli sprechi lavorando su modelli 3D e producendo solo le parti necessarie” si legge ancora nella ricerca. “Le tecnologie dell’industria 4.0 consentiranno di ridurre i costi di produzione, il time-to-market e i rifiuti generati; le evoluzioni della blockchain, inoltre, potrebbero permettere una migliore tracciabilità di ogni fase di vita di un capo fashion rendendo più trasparente la catena di approvvigionamento”.
Leggi il documento: SACE Focus On Fashion