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Istat: il 35% delle aziende ha variato fornitori e volumi acquistati nel 2020-2021
ll biennio 2020-2021 ha portato le aziende italiane a ripensare le proprie catene di fornitura e le proprie reti di distribuzione, anche se solo una quota minoritaria ha riavvicinato la rete dei partner. Lo evidenzia una analisi condotta dall’Istat nel gennaio di quest’anno tra un campione di imprese manufatturiere e inserita nel Rapporto 2022 sulla […]
ll biennio 2020-2021 ha portato le aziende italiane a ripensare le proprie catene di fornitura e le proprie reti di distribuzione, anche se solo una quota minoritaria ha riavvicinato la rete dei partner. Lo evidenzia una analisi condotta dall’Istat nel gennaio di quest’anno tra un campione di imprese manufatturiere e inserita nel Rapporto 2022 sulla Competitività dei settori produttivi.
Tra le aziende analizzate, più della metà (53,3%) di quelle attive nell’export o import ha rilevato problemi di approvvigionamento e vendita, indipendentemente dalla dimensione. L’impatto è stato avvertito molto dalle realtà dei settori delle apparecchiature elettriche, elettronica, macchinari, gomma e plastica, e poco da quelle della farmaceutica, dei mezzi di trasporto diversi dalle automobili e degli alimentari.
Il clima di incertezza ha condizionato le modalità con cui le imprese hanno reagito alle strozzature dell’offerta. Tra chi ha segnalato problemi nell’approvvigionamento di materie prime e beni intermedi, il 37% non ha attuato alcuna strategia perché ha ritenuto le difficoltà di natura temporanea, mentre le imprese che hanno reagito (il 35%, perlopiù realtà di grandi e medie dimensioni) hanno perlopiù modificato sia i volumi acquistati, sia i fornitori. Questa è stata soprattutto la scelta delle aziende dell’alimentare (44,2%) e di settori quali quello chimico (44,1%), farmaceutica (46,3%) e automotive (47,9% per le auto e 49,2% per gli altri mezzi di trasporto). Nei comparti dell’abbigliamento e delle pelli solo una quota minoritaria di imprese (32,4% e 36,5% rispettivamente) hanno modificato le proprie strategie di approvvigionamento. Le filiere di legno, carta e stampa di caratterizzano invece per la maggior variazione nel numero di fornitori a parità di volumi acquistati.
Le strategie di contrasto alle difficoltà di approvvigionamento non sembrano interessare la geografia dei mercati di provenienza. Tra le imprese che nel biennio hanno importato materie prime e beni intermedi (70%), la stragrande maggioranza (85,8%) non ha modificato i paesi fornitori, indipendentemente dalla dimensione. Si sono rivolte a fornitori di paesi diversi gli operatori del comparto delle pelli (29,7%) e della stampa (23,4%).
Da evidenziare che tra le grandi imprese non si notano differenze tra chi ha optato per fornitori esteri a scapito di quelli italiani o viceversa; tra le piccole prevale invece una ricomposizione dei fornitori a favore di quelli italiani (52,2%) mentre quelle di media dimensione si sono reindirizzate su fornitori esteri.
In particolare i comparti tessile-abbigliamento, mobili e macchinari si distinguono per aver riorientato gli acquisti di input produttivi privilegiando i fornitori italiani; all’opposto, metallurgia, chimica, farmaceutica, prodotti della raffinazione petrolifera e prodotti in metallo hanno modificato, più di altri, i propri acquisti nella direzione del ricorso a fornitori esteri.
Chi ha incrementato gli acquisti da fornitori Italiani ha evidenziato tra i motivi il contenimento dei costi logistici e dei tempi di consegna, la disponibilità di adeguati fornitori in Italia (in particolare per le piccole imprese), il contenimento dei rischi di interruzione delle forniture (soprattutto per le medie e le grandi).
Cambiamenti merceologici e geografici hanno interessato una frazione molto limitata di imprese anche rispetto alle esportazioni. In particolare, la quasi totalità (90,2%) di quelle che hanno esportato nel biennio ha mantenuto invariati i paesi di destinazione, senza differenze rispetto a dimensione o settore. La ricomposizione delle vendite verso clienti in Italia è stata più diffusa tra le imprese dei settori a basso contenuto tecnologico, (legno, carta e stampa), tradizionali (pelli) o necessari ai cambiamenti di vita causati dalla pandemia (farmaceutica, elettronica, macchinari). Al contrario, un ribilanciamento di vendite a favore dei clienti esteri è stato relativamente più diffuso nei comparti di gomma e plastica, piastrelle, metallurgia, prodotti in metallo, apparecchiature elettriche.
L’analisi è quindi passata ad analizzare il reshoring e il nearshoring, verificando come si sia trattato di fenomeni che hanno interessato una quota minoritaria di aziende. Considerato che solo il 12,9% ha realizzato, nel biennio, tutta o una parte della propria produzione all’estero, la gran parte di queste ultime (84%) non ha modificato la localizzazione della produzione, continuando a produrre negli stessi paesi. Delle altre, il 10,1% ha avvicinato la produzione e il 9,7% lo ha fatto portandola in Italia.