“Modificare il Codice Penale contro lo sfruttamento nella logistica”
Diverse audizioni, memorie, ricerche e anche alcuni sopralluoghi condotti ‘sul campo’ sono alla base della relazione intermedia prodotta dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, depositata solo pochi giorni fa e nella quale grandissimo spazio è dedicato al settore della logistica. Il documento (qui disponibile) offre un ritratto nero delle condizioni di […]
Diverse audizioni, memorie, ricerche e anche alcuni sopralluoghi condotti ‘sul campo’ sono alla base della relazione intermedia prodotta dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, depositata solo pochi giorni fa e nella quale grandissimo spazio è dedicato al settore della logistica.
Il documento (qui disponibile) offre un ritratto nero delle condizioni di lavoro (e quindi di vita, vi si conclude) di alcuni degli addetti del comparto, che operino come corrieri, autotrasportatori o facchini. Allo stesso tempo, nella relazione il gruppo di lavoro prende atto di una certa obsolescenza dell’impianto normativo italiano, ovvero della sua incapacità di individuare e portare a sanzionamento le condotte di sfruttamento. Fino ad arrivare a proporre diverse modifiche, anche al Codice Penale.
Scorrendone le oltre 400 pagine, dal testo redatto dalla Commissione presieduta da Gianclaudio Bressa (senatore eletto in quota Pd, ora in forze al gruppo per le Autonomie) emerge innanzitutto una foschissima rappresentazione del settore, caratterizzato per quel che riguarda la fase di gestione di magazzino dalla presenza di un ‘caporalato digitale’ (cioè sfruttato sulla base di algoritmi che decidono carichi e mansioni di lavoro), che i membri della commissione ritengono simile “per attributi” a quello che si vede nell’agricoltura.
“Nel comparto – si legge, proseguendo nel testo – esistono quindi fenomeni di severo sfruttamento lavorativo con controlli e ritmi serrati che ricalcano le condizioni di lavoro nelle catene di montaggio degli anni Sessanta”. In questo panorama desolato, l’e-commerce con le sue “esigenze di velocità” rappresenta un altro elemento di criticità.
Non è però solo il facchinaggio il solo ambito a rischio. Nel comparto dei corrieri “irregolarità contrattuali, contributive e salariali” appaiono come “normale prassi” e inoltre si delinea una “certa predisposizione a infiltrazioni di criminalità organizzata”. Tra gli autotrasportatori la liberalizzazione dei servizi “ha in qualche modo stimolato l’adozione di pratiche illegali, portando soprattutto al dumping salariale e fiscale e anche alla violazione delle norme vigenti nell’ambito del cabotaggio stradale”. Venendo infine al facchinaggio, la “prassi di dumping contrattuale sulla forza lavoro” ha innescato “una crescita quantitativa di cooperative”, dove lo sfruttamento tende ad annidarsi. In tutti e tre i comparti – fonte in questo caso una ricerca condotta nel Fiorentino nel 2017 – la Commissione individua come violazioni l’eccesso di straordinari, la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro e ai periodi di riposo, la presenza di intimidazioni e minacce, l’abuso della vulnerabilità del lavoratore, la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro.
Sul facchinaggio e in particolare sul fenomeno delle ‘cooperative spurie’ – quelle cioè che agiscono senza alcun rischio imprenditoriale o potere organizzativo, solo predisponendo manodopera a basso costo, permettendo però alle committenti di avere “nel contempo le mani pulite” – si sono concentrare le principali attenzioni dei membri della Commissione.
Se infatti le condizioni di sfruttamento di certe realtà sono evidenti, il contesto normativo è invece piuttosto inadeguato a contrastarlo. La prima lacuna – e qui i membri richiamano esplicitamente il caso di Ceva Logistics – è che manca la “previsione di una fattispecie autonoma per colui che benefici consapevolmente del lavoro in condizioni di sfruttamento”. Questo anche nel d.lgs. n. 231 del 2001 (che disciplina la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni), il quale risulta inadatto data la “complessa articolazione dell’impresa globale”, ovvero il fatto che il testo riguardi i reati commessi per procurare un vantaggio alle società di appartenenza da soggetti interni (e non quindi anche da affiliate, quali le cooperative di servizi di cui queste si avvalgono).
Inoltre, l’articolo 603-bis del Codice Penale, che individua il reato di “Intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro” (con i relativi e connessi indici di sfruttamento), secondo la relazione è carente, sia perché pensato per il lavoro subordinato, sia perché si dà anche il caso di rapporti comunque caratterizzati da sfruttamento (ovvero con costo del lavoro irrisorio, elusione di prestazioni previdenziali, conseguente alterazione della libera concorrenza) che però sono regolarmente “contrattualizzati e consensuali”.
Da qui le varie proposte della Commissione. Tra queste l’inasprimento delle sanzioni previste dal Jobs Act (in sintesi a oggi una ammenda da 20 euro al giorno per lavoratore) per la fattispecie della ‘somministrazione fraudolenta’ di manodopera (ovvero con lo scopo di eludere norme di legge o il Ccnl) arrivando a una pena detentiva da uno a sei anni se il fatto “si accompagna a una situazione di sfruttamento” (cosa che permetterebbe anche di disporre misure cautelari e intercettazioni), anche per i soci-lavoratori.
Più rilevanti ancora le altre due. La prima, come visto, è quella volta a introdurre una “disposizione che colmi la lacuna derivante dalla mancata previsione di una fattispecie autonoma per colui che benefici consapevolmente del lavoro in condizioni di sfruttamento”. Questo obiettivo, secondo la Commissione, potrà essere raggiunto con una modifica dell’art. 603-bis del Codice Penale, e cioè l’aggiunta di un comma che reciti: “Le stesse sanzioni, si applicano, altresì, nei confronti di chiunque ricorre consapevolmente ai servizi, oggetto dello sfruttamento, prestati da una persona che è vittima di uno dei reati previsti dai precedenti commi”.
Per ultimo la Commissione propone una vera e propria innovazione, ovvero l’introduzione nel Codice Penale di “un’autonoma e specifica fattispecie di reato” con lo scopo di sanzionare chi “con violenza o minaccia, costringe il lavoratore ad accettare la corresponsione di trattamenti remunerativi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate e, più in generale, condizioni di lavoro contrarie alle leggi e ai contratti collettivi, ovvero a rinunciare a diritti spettanti in relazione al rapporto di lavoro (quali riposi, ferie, permessi, congedi, eccetera), procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto”. Per questo reato di nuova istituzione la sanzione – è la proposta – sarebbe la reclusione da cinque a otto anni e una multa da 5 a 15.000 euro” (con incrementi se i lavoratoti in questione sono più di tre, stranieri irregolari o minori.
F.M.