Come la guerra in Ucraina sta ridisegnando i trasporti via mare
La guerra in Ucraina ha costretto molti operatori a rivedere le proprie catene di approvvigionamento per le varie commodity di cui il paese era fornitore, con un aumento, per il trasporto di questi prodotti anche della distanza percorsa via mare. In alcuni casi i beni sono stati esportati dal paese ricorrendo al trasporto via terra […]

La guerra in Ucraina ha costretto molti operatori a rivedere le proprie catene di approvvigionamento per le varie commodity di cui il paese era fornitore, con un aumento, per il trasporto di questi prodotti anche della distanza percorsa via mare. In alcuni casi i beni sono stati esportati dal paese ricorrendo al trasporto via terra o contando sugli sui porti lungo il Danubio come Reni o Izmail, ma queste soluzioni finora sono ritenute insufficienti.
Secondo l’Unctad il grano è tra i beni più colpiti e del resto il tema della sua esportazione dal paese sta destando un allarme a livello internazionale.
Nel complesso l’agenzia dell’Onu ha rilevato come il costo al consumo di questo prodotto sia incrementato a livello globale del 4% e come questo impatto sia dovuto per la metà all’aumento delle spese di trasporto, sia per il maggior costo unitario (tra febbraio e marzo per le rinfuse secche in generale è cresciuto del 60%), sia perché le tratte percorse sono più lunghe. Lo stop ai rifornimenti dall’Ucraina ha fatto aumentare le richieste ad altri paesi: in particolare il Brasile vedrà crescere il suo export di grano e altri cereali del 37% nel 2022. Nel medio periodo secondo l’Unctad sarà il paese sudamericano, insieme a Usa e Australia, a compensare le minori esportazioni dirette verso Nord Africa e Medio Oriente.
Questa riconfigurazione delle rotte del grano secondo l’agenzia delle Nazioni Unite si è osservata anche nel minor numero di toccate nave nel Mar Nero, oltre che ovviamente all’azzeramento di quelle in Ucraina, dove in media i porti erano raggiunti settimanalmente da 60 unità. Un calo del numero degli scali è stato notato però anche in Russia e in Turchia, parallelamente a un incremento del numero di toccate di navi portarinfuse in Bulgaria e Romania.
Anche gli approvvigionamenti di beni cui era leader la Russia, in primis carburanti e fertilizzanti, sono però naturalmente stati colpiti dal conflitto. Il loro costo è aumentato per via anche in questo caso della maggior lunghezza delle tratte percorse per il loro reperimento, ma allo stesso tempo anche per l’aumento del costo del bunker navale. Alla fine di maggio, il prezzo di quello di tipo Vlsfo (very low sulphur fuel oil) risultava di circa 1.000 dollari a tonnellata, maggiore del 64% rispetto all’inizio dell’anno. Per i caricatori questo si è tradotto in un aumento dei cosiddetti fuel surcharge, che risultano cresciuti del 50% dallo scoppiare del conflitto.
Un discorso a parte è dedicato dall’Unctad al trasporto marittimo di container. Come sappiamo, il conflitto ha portato allo stop delle operazioni dei global carrier in Russia e alla sospensione delle attività nei porti ucraini. Questo secondo l’agenzia Onu ha portato da un lato a un lieve aumento della capacità dislocata nei porti vicini a questi due paesi (Svezia, Danimarca, Lituania, Romania, Finlandia, Lettonia, Estonia e Bulgaria) così come a una ridefinizione delle rotte delle navi. I contenitori destinati ai due paesi in guerra si sono inoltre accumulati in scali come quelli di Amburgo, Rotterdam, Constanta e Istanbul, con conseguenti aumenti dei costi di detention e demurrage per i caricatori e mettendo sotto pressione la capacità di stoccaggio.
Questo effetto secondo Unctad porterà a un aumento medio del 11,9% del costo per le importazioni nel 2022. A pagare il prezzo più alto saranno i cosiddetti Sids (Small island developing States), ovvero i piccoli stati insulari in via di sviluppo) – poco serviti dai carrier, dipendenti dalle importazioni e dai quali le navi generalmente ripartono ‘vuote’ – in cui questo arriverà a crescere del 26,7%.
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