Scarso ricorso all’outsourcing logistico strategico per l’agrifood italiano
Le aziende italiane del comparto agrifood ricorrono all’outsourcing logistico nel 60% dei casi, con percentuali però molto variabili tra i diversi segmenti, e hanno una scarsa propensione a sviluppare collaborazioni approfondite e di lunga durata con i propri logistics provider. Spesso inoltre preferiscono non gestire direttamente i flussi in export, delegando questo compito agli importatori. […]
Le aziende italiane del comparto agrifood ricorrono all’outsourcing logistico nel 60% dei casi, con percentuali però molto variabili tra i diversi segmenti, e hanno una scarsa propensione a sviluppare collaborazioni approfondite e di lunga durata con i propri logistics provider. Spesso inoltre preferiscono non gestire direttamente i flussi in export, delegando questo compito agli importatori. Fanno eccezione solo il comparto dell’olio e quello delle conserve, più ‘maturi’ sotto il profilo logistico.
A dirlo è il documento strategico ‘Mobilità e logistica sostenibili. Analisi e indirizzi strategici per il futuro’ pubblicato nei giorni scorsi dal Ministero delle Infrastrutture e Mobilità sostenibili’. Secondo il report, in Italia l’ortofrutta registra una terziarizzazione media del 56% (50% per la prima gamma ovvero prodotti freschi e interi, 60% per la seconda gamma, cioè prodotti in barattolo, pastorizzati o sterilizzati, 16,57% per la terza, che comprende surgelati e congelati e infine 89% per la quarta gamma, relativa a merce fresca, pulita, tagliata e confezionata in imballaggi), percentuale che sale però al 78% nel comparto olivicolo.
Più nel dettaglio, secondo il Mims la fase del trasporto risulta quasi completamente terziarizzata e solo pochissime aziende hanno una propria flotta, mentre sulla gestione del magazzino le scelte sono meno omogenee. Il 66% delle aziende in media preferisce infatti la gestione in proprio con forti differenze però tra i singoli settori. Se nel comparto olio queste attività sono perlopiù gestite ‘in casa’ (85%), risulta invece forte il coinvolgimento diretto di cooperative specializzate per prima gamma (31%) e quarta gamma (67%). La seconda gamma mostra un discreto ricorso sia a cooperative (38%) sia ad operatori logistici (23%), e la terza invece è caratterizzata da un basso livello di terziarizzazione (13%), e soltanto mediante coinvolgimento di operatori logistici.
Il ricorso al cosiddetto Strategic Outsourcing, ovvero con relazioni più integrate e di lunga durata tra azienda e fornitore logistico, è invece basso e pari al 7% (3% in media per l’ortofrutta e 21% per le aziende olivicole). A servirsene maggiormente, nella prima categoria, sono le aziende della seconda gamma, che secondo l’analisi presentano peculiarità più vicine al settore Fast Moving Consumer Goods (Fmcg). In generale però “la prevalenza di un approccio di tipo commodity, focalizzato principalmente sulla terziarizzazione delle attività di trasporto – si legge nel documento – manifesta come il percorso di sviluppo del processo logistico non sia ancora maturo” e secondo il Ministero nel settore “spesso manca una figura di riferimento che non abbia soltanto il titolo di direttore logistico ma che disponga anche dell’ambito di azione corrispondente”. Risulta infine elevato il ricorso alla terziarizzazione per i servizi di base, nonché nella gestione doganale delle importazioni, mentre i servizi di co-packing sono gestiti perlopiù internamente.
Il settore, conclude il Mims, ha quindi una maturità logistica variabile e dovrebbe acquisire una maggiore consapevolezza del valore dell’outsourcing logistico, che può offrire “ampie opportunità di crescita per lo sviluppo di una logistica integrata, capace di rafforzare visibilità e tracciabilità lungo tutta la filiera”.
Relativamente all’export, tranne qualche rara eccezione riscontrata nel comparto Olio e nel mondo delle conserve (Ortofrutta – seconda gamma), le aziende italiane non gestiscono i flussi di merce in uscita, principalmente per la mancanza di capacità di governo dei flussi internazionali ma anche per la maggiore propensione degli acquirenti esteri a organizzare a proprie spese e secondo le proprie preferenze il trasferimento dei prodotti. La scarsa dimensione aziendale rende inoltre agli occhi delle imprese poco giustificabile dal punto di vista economico l’apertura di filiali all’estero. Una immaturità che però secondo il Mims nasconde anche grandi potenzialità per la crescita delle esportazioni, grazie anche alla attrattività sempre più forte dei prodotti Made in Italy.
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