Reshoring, etica, sostenibilità e automazione: le catene logistiche del futuro secondo John Manners-Bell
Il direttore di Foundation for Future Supply Chain è autore della pubblicazione intitolata “The death of globalization”
Con molta probabilità il futuro delle catene logistiche vedrà una riorganizzazione in flussi crescenti di merci su distanze regionali in Usa, in Cina e anche in Europa per effetto di condizionamenti politici e geopolitici. Si vedrà un ricorso maggiore al reshoring e al nearshoring, si diffonderà ancora di più l’automazione, ci saranno maggiori barriere agli scambi commerciali e sussidi nazionali, crescerà la coscienza etica e l’attenzione alla sostenibilità e alla security; gli Stati cercheranno di trattenere ‘in casa’ la logistica a valore aggiunto attraverso politiche dedicate. Non tutti i Paesi beneficeranno allo stesso modo di questo scenario; molto dipenderà dal grado di apertura del rispettivo mercato e dalle policy adottate.
È questo il quadro delle future supply chain mondiali dipinto in occasione dell’assemblea di Fedespedi a Roma da John Manners-Bell, professore e chief executive di Ti Insight, direttore di Foundation for Future Supply Chain nonché autore della pubblicazione intitolata “The death of globalization”.
In particolare le prospettive degli scambi commerciali saranno influenzate dal neo-protezionismo dilagante in diversi Stati in giro per il mondo secondo Manners-Bell, con fattori geopolitici, attenzione alla sostenibilità, politiche industriali e altri rischi a farla da padrona.
Dalla globalizzazione si assisterà a un progressivo trend verso una trasformazione delle catene globali di fornitura; un ribilanciamento e un riavvicinamento fra i mercati di produzione e di consumo è alla base della supply chain transformation dove a ‘pesare’ saranno costi inferiori di inventario e stoccaggio, un basso costo del lavoro (grazie all’incremento dell’automazione) e produzioni in scala (per merito anche di sistemi di stampa 3D sempre più veloci).
L’esperto analista di mercato descrive fra le conseguenze di tutto questo un ‘ritorno a casa’ delle produzioni nel medio termine e una riduzione dei trasporti intercontinentali di beni.
Manners-Bell ha anche evidenziato una crescente sensibilità da parte delle aziende (tema molto caldo e attuale anche in Italia) all’etica e alla correttezza professionale nei confronti dei lavoratori: anche per evitare rischi reputazionali del proprio brand, le aziende hanno compreso che non è più pensabile esternalizzare o subappaltare produzioni o logistica senza mantenere la necessaria attenzione sulle condizioni di lavoro delle persone che contribuiscono all’output finale.
Discorso simile vale per l’attenzione verso l’ambiente con il progressivo svilupparsi di catene logistiche green e l’introduzione da parte dei policymaker di strumenti normativi come l’Emission trading system o i dazi doganali ambientali che rendono i trasporti più onerosi.
Un case study portato ad esempio dall’autore del testo “The death of globalization” è stato quello di un’azienda italiana, più precisamente una start up nata nel 2014 che produce jeans e altri capi d’abbigliamento, che riceve la materia prima proprio dall’Italia o dalla Spagna, esternalizza lavorazioni ad altre imprese che si trovano nell’arco di 40 km dalla propria sede, seleziona materiali e fornitori in base al grado di sostenibilità e di prossimità, focalizza la propria attività sull’economia circolare e sul cosiddetto slow fashion. La produzione è tarata per ridurre al minimo gli stock e gli sprechi. Un modello produttivo che ha consentito all’impresa di minimizzare i rischi legati alle catene logistiche e alla qualità del lavoro dei subfornitori.
Un modello di business che evidentemente però preoccupa chi si occupa di spedizioni internazionali.