Deglobalizzazione: catene corte, logistica specializzata e più ricorso all’m&a
I primi effetti della deglobalizzazione con le conseguenze sulla logistica, sui sistemi produttivi con impatti anche sul mercato degli m&a
Il fenomeno in corso della deglobalizzazione sta cambiando le catene di approvvigionamento con conseguenze sulla logistica e sui sistemi produttivi delle aziende, anche con impatti sul mercato degli m&a. Su questo tema si è espresso Massimiliano Facchi di Seven Capital Partners sul media financialounge partendo da un’analisi delle variabili macro, che, sintetizzata, vede negli ultimi tre anni il ricorso delle aziende agli strumenti di finanza straordinaria per far fronte al grande impatto subito in seguito ai grandi cambiamenti geopolitici internazionali.
I tassi aumentati a causa dell’inflazione, e in particolare quelli a breve, più alti di quelli a lungo periodo (fenomeno ancora attuale negli Usa e parzialmente anche in Europa e in Italia), hanno ridotto la capacità di finanziamento delle imprese e soprattutto dei private equity creando ad essi la difficoltà di chiudere le operazioni per mancanza di finanza. A influire ancora di più sulle transazioni è però stato il cambiamento radicale nelle catene di fornitura e di subfornitura determinando – si stima – una decrescita di circa il 50% per le transazioni, quindi un risultato molto significativo rispetto allo scorso anno, che era già più basso di quello precedente, con effetti finali quali un calo ridotto degli Stati Uniti e di altri paesi europei rispetto ad altri. Il calo europeo subito in passato, influirà invece anche nel secondo semestre per cui la stima di fine anno vede una riduzione importante delle operazioni; per l’Italia in particolare si attende un -20% a numero e un calo molto superiore a valore.
Contestualizzando, secondo Facchi, il nodo è la modifica nella catena di valore e nelle catene di subfornitura che impongono l’acquisto e il riposizionamento di aziende più vicine. Questo impatta anche nel settore della logistica, perché catene più corte e più controllate da parte delle aziende produttive della logistica chiedono un supporto logistico diverso, più specializzato, più flessibile e in grado di rispondere a un mondo che sta cambiando molto velocemente, molto diverso da come era atteso tre anni fa, periodo in cui lavorare a Shanghai invece che a Los Angeles non creava differenze.
Oggi invece – sottolinea Facchi – la logistica deve adeguarsi; i dati finanziari e di borsa delle varie aziende di questo settore segnalano l’anno trascorso come favorevole, ma resta l’incognita del futuro.
Per quanto riguarda l’m&a nella logistica – come in tutti i settori più legati alla globalizzazione – il calo è stato significativo.
Le aziende e di riflesso tutta la catena di subfornitura lontana ne hanno subìto maggiormente gli effetti, mentre quella più vicina – come ad esempio il settore moda italiano – ha avuto un sostanziale rinascimento della qualità e cultura italiana nel servire le grandi firme internazionali; proprio mentre i grandi marchi del nostro Paese vengono comprati dagli operatori internazionali le aziende italiane su fornitura crescono e sono loro a fare da aggregatori rispetto all’estero. Quindi le aziende che sono riuscite più rapidamente ad adeguare i loro sistemi produttivi, anche in base al reshoring, sono le stesse che hanno fatto maggiore ricorso all’m&a, proprio per aggregarsi e servire meglio la clientela internazionale e per cambiare le modalità con le quali erano abituate a lavorare e a fornirsi.
Un altro settore che ha avuto un’elevata attenzione è quello industriale: purtroppo non sempre con carattere positivo. Ne è un esempio l’automotive, comparto nel quale il cambiamento – che potrà forse subire qualche piccolo rallentamento anche in seguito alle dichiarazioni del premier britannico Sunak che, spostando di 5 anni il limite di vendita delle auto endotermiche, non sposta comunque un trend secolare; tutta la catena di fornitura dell’automotive del mondo endotermico è stata oggetto di fusioni e acquisizioni, ma purtroppo di operazioni legate a un ridimensionamento radicale del mercato e quindi con necessità di aggregazione.
Buone invece sono state le performance nel settore delle telecomunicazioni: in Italia la Tim con il big deal da circa 25 miliardi di euro (Kkr ndr) che a fine anno rimpolperà i suoi numeri piuttosto esigui. Ma, trattandosi di un’eccezione, non può rappresentare la sostanza del mercato.
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