Lo ‘spaghetti bowl’ degli accordi di libero scambio: 361 intrecci e oltre 3.000 misure protezionistiche
I dazi crescono di numero e si allargano a regolamentazioni ‘etiche’ dei flussi
Milano – Dal multilateralismo alla frammentazione (o, per essere meno pessimisti, alla de-globalizzazione) nel giro di 15 anni. Questo il cambio di scenario che si è dispiegato nel commercio internazionale a partire dal 2008, anno della crisi finanziaria, che ha segnato anche l’avvio del tramonto del sistema fondato sui principi liberisti del Wto che si era consolidato negli anni ‘90. Altri colpi a questo quadro sono arrivati dalla pandemia, con le interruzioni delle catene di approvvigionamento che hanno indotto molte imprese a rivedere la loro dipendenza strategica da (alcuni) stati esteri, dal decoupling tra l’economia statunitense e quella cinese, e infine dallo scoppiare della guerra in Ucraina e dal riaccendersi della crisi in Medio Oriente.
L’evoluzione è stata descritta nel primo Forum del commercio internazionale, organizzato da Arcom Formazione, da Sara Armella, avvocato titolare dell’omonimo studio legale specialista del diritto tributario e doganale, nel corso dell’intervento con cui ha aperto i lavori del convegno.
Il risultato visibile – perlomeno sotto lo sguardo del diritto doganale – è quello di uno ‘spaghetti bowl’, un groviglio di accordi di libero scambio (Free Trade Agreement) sottoscritti da diversi paesi (o da gruppi di paesi) in luogo del multilateralismo del commercio mondiale libero che avrebbe dovuto svilupparsi sotto la supervisione del Wto (e in particolare grazie al suo ruolo di ‘corte suprema’ in tema di controversie commerciali internazionali, ora venuto meno per via delle mancate nomine dei relativi giudici). Ad oggi i Fta in vigore sono 361.
Il proliferare delle intese si è accompagnato quindi a un fiorire delle misure protezionistiche, che a livello globale dal 2008 al 2022 sono complessivamente cresciute del 714%, essendo ora pari a circa 3.000 tra dazi, sanzioni e quote di esportazione. Circa 350 sono invece ad oggi solo le normative che regolano import ed export nell’Unione Europea. Tra queste, 177 sono di difesa commerciale (117 antidumping, 21 anti-sovvenzioni, e una di salvaguardia), ovvero 14 in più che nel 2021. Le relative verifiche in ambito Ue hanno interessato 38.500 domande di esportazioni di beni per uso civile e militare (per un valore di 45,5 miliardi di euro), con divieti che hanno colpito 560 operazioni di export, per un valore di 7 miliardi. Ma in costante aumento anche i divieti: dall’invasione russa dell’Ucraina, l’Ue ha adottato undici diversi pacchetti di sanzioni che vietano l’importazione e l’esportazione di numerosi prodotti.
A queste varie misure si aggiungono i crescenti interventi dei Governi nella regolamentazione dei flussi di prodotti esteri, motivata da valori etici quali la sostenibilità ambientale – un esempio di questi è il Cbam -, la tutela dei lavoratori, i conflict mineral che quindi estendono anche concettualmente la portata dei dazi tradizionali.
Sotto il profilo geografico, questa nuova rete di rapporti – ha evidenziato ancora Armella – ha ridisegnato il mondo suddividendolo in macro aree, i mega blocchi di Fta. Tra loro il Rcep (Partenariato Economico Globale Regionale, che unisce dieci stati dell’Asean e cinque loro partner, vale il 30% del Pil mondiale e coinvolge 2,2 miliardi di persone), l’Usmca (accordo Stati Uniti-Messico-Canada, 16% del Pil e 500 milioni di persone), il Cptpp (Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico, con Pil pari al 13% e 480 milioni di persone interessate) e il Mercosur (mercato comune dell’America meridionale, Pil pari al 3% e 300 milioni di persone). Infine la Ue, che vale il 22% del prodotto interno lordo globale e riguarda 450 milioni di persone.
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