Anche Ups nella bufera per frode fiscale: sequestro di 86 Mln e divieto di pubblicità
Alla società contestato l’impiego di serbatoi di manodopera sotto la sua diretta organizzazione e regia
Sequestro preventivo per 86 milioni di euro e divieto di pubblicità per un anno. Questi i provvedimenti emessi oggi a carico di Ups nell’ambito di una indagine per frode fiscale, l’ennesima nell’ambito dei servizi logistici dopo quelle già avviate nei confronti tra gli altri di Dhl Supply Chain, Brt, Gls, Movimoda, Geodis, Number One ed Esselunga.
A capo dell’inchiesta anche questa volta il pm della Procura di Milano Paolo Storari, responsabile anche di molti dei procedimenti precedenti, in questo caso insieme alla procuratrice aggiunta Alessandra Dolci.
A fornire ricostruzioni dettagliate della vicenda sono in particolare Il Giorno e Il Corriere della Sera, secondo le quali risultano inoltre avere ricevuto avvisi di garanzia Francisco Conejo Castro, attuale country manager di Ups Italia, Karl Georg Habekorn (amministratore delegato tra 2017 e 2021) e Britta Martina Weber (managing director tra 2021 e 2023), in quanto firmatari delle dichiarazioni fiscali 2017-2022. La stessa Ups risulterebbe inoltre direttamente indagata sulla base della legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti. Secondo il Corriere al momento sono in corso perquisizioni nei confronti di persone e società coinvolte nelle province di Milano, Roma, Como e Reggio Emilia.
Nel dettaglio, alla filiale italiana del corriere espresso è contestata la somministrazione illecita di manodopera (per un ammontare di 480 milioni di euro oltre a 86 milioni di Iva), avvenuta tramite la stipula di contratti fittizi e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Dalle indagini sarebbe infatti emerso come Ups si sia avvalsa di appaltatori di manodopera, mantenendo però l’organizzazione e la regia delle attività in capo agli addetti, che ‘teleguidava’ tramite palmari e strumenti digitali, lasciando quindi alle società titolari dell’appalto solo la gestione di aspetti meno rilevanti quali la gestione di turni, ferie e assenze e il compito di elargire gli stipendi.
A conferma di questo gli inquirenti indicano, secondo le testate, la ‘transumanza’ riscontrata tra i lavoratori: su 8.500 addetti, 5.700 sarebbero avrebbero compiuto almeno un passaggio tra due diverse società fornitrici di manodopera, con picchi di 8 transiti per alcuni di loro. Il fenomeno avrebbe interessato anche i dirigenti delle società appaltatrici (in alcuni casi con sedi legali agli stessi indirizzi), dato che 28 di loro pure risultano essere transumati da almeno due di esse. Non solo: a queste società si contesta inoltre di avere spesso pagato gli straordinari in nero o di avere utilizzato altri trucchi per omettere versamenti fiscali.
L’azienda ha successivamente diffuso una nota nella quale afferma: “Portiamo avanti le nostre attività nel rispetto delle leggi e dei regolamenti vigenti a livello locale. Comprendiamo le ragioni sollevate dal Pubblico Ministero e abbiamo attive politiche e procedure all’interno del nostro programma di conformità che affrontano specificamente tali questioni. Desideriamo precisare che questa indagine, che è ancora in una fase preliminare, riguarda presunte dichiarazioni fiscali irregolari e non il “caporalato” (pratiche di lavoro illecite) o la criminalità organizzata. Stiamo collaborando pienamente con le autorità e, poiché l’indagine è ancora in corso, al momento non possiamo fornire ulteriori dettagli”.
Come già rilevato, l’inchiesta a carico di Ups non si discosta molto da quelle che hanno travolto altri grandi operatori della logistica e dei trasporti, se non per un punto: l’impiego di palmari e altri strumenti tecnologici, che sarebbero stati utilizzati per ‘teleguidare’ gli addetti in ogni loro mansione.
Questo tema è stato recentemente anche al centro di un report elaborato da Adapt, presentato durante la consueta premiazione annuale dei Logistici dell’Anno da parte di Assologistica, in cui si rilevava come la fornitura di tecnologie e software di proprietà ai lavoratori dell’appaltatore da parte di una azienda committente non mettesse al riparo quest’ultima dall’accusa di servirsi di appalti non genuini. In particolare lo studio riportava a conferma di questo orientamento giurisprudenziale diverse sentenze emesse da vari tribunali italiani negli ultimi anni e concludeva suggerendo ai committenti di garantire “almeno in parte” una autonoma organizzazione nello svolgimento delle lavorazioni agli appaltatori, così come di gestire in modo diverso la disponibilità giuridica dei software (o una parte di essi) forniti agli addetti, quindi servendosi non di strumenti di proprietà ma ad esempio in comodato d’uso.
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