L’80% dei clienti della logistica non vuole pagare di più per servizi green
Nemmeno nella misura di un 10% in più, secondo McKinsey&Company, che invita gli operatori ad andare ‘a caccia’ della clientela migliore
Il percorso verso la decarbonizzazione della logistica continua a scontrarsi con la scarsa propensione della clientela a pagare costi extra per usufruire di servizi green. Allo stato attuale, evidenzia uno studio di McKinsey & Company, l’80% degli acquirenti di tali servizi non intende infatti farsi carico di tariffe superiori, anche se solo del 10%, a quelle standard. Di contro, un 10% della clientela totale si è invece detto disponibile a sostenere costi superiori del 20%. Questo mancato allineamento tra domanda e offerta, secondo gli analisti, fa sì che ad oggi solo un fornitore logistico su quattro sia in grado di offrire ‘prodotti ecologici’ e che nel complesso gli operatori fatichino a trovare margini.
Ad oggi, a spingerli ad assicurare comunque un’offerta di questo tipo sono ragionamenti diversi: cercare di mantenere la loro quota di mercato, posizionare i loro marchi, prepararsi per una domanda che ci si aspetta possa crescere in futuro. Peraltro, la stessa analisi di McKinsey&Company stima che questa nel 2025 sarà pari a 50 miliardi di dollari circa il 2% della spesa logistica complessiva, salendo addirittura a 350 miliardi nel 2030, ovvero il 15% del totale. Ad oggi, in definitiva, secondo gli analisti gli operatori propongono la loro offerta di servizi green con ambizioni limitate e il solo obiettivo di recuperare i costi, senza mirare a trasformarla in un business redditizio.
In particolare secondo la società di consulenza sono quattro i modelli di commercializzazione di soluzioni logistiche green che si possono osservare oggi, nessuno dei quali appunto orientato a generare profitti.
Nel settore dei trasporti aerei e marittimi, dove la decarbonizzazione perlopiù coincide con l’acquisto di carburante a basse emissioni, gli operatori semplicemente trasferiscono il prezzo del fuel al cliente, con un approccio che permette una quantificazione precisa, in termini di litri acquistati in rapporto a un certo volume di merce, e da cui è possibile far discendere i relativi carbon credit. Questo modello non può però essere applicato alla categoria dei trasportatori stradali, il cui servizio comprende anche l’attività di magazzinaggio, e si compone da un insieme di tragitti brevi e lunghi. Qui, secondo McKinsey&Company, è impossibile collegare l’impatto di una singola misura (quale ad esempio l’installazione di pannelli fotovoltaici su un polo logistico) a una singola spedizione, e quindi si è affermato perlopiù un modello a fee, che però difficilmente permette all’acquirente di reclamare carbon credit. Le cose cambiano un po’ quando la clientela è formata da aziende del retail, più vicine e attente al consumatore finale, le quali invece chiedono un collegamento diretto e visibile tra la propria spedizione effettivamente gestita e le misure di decarbonizzazione. Per questo motivo, in questo ambito una soluzione spesso praticata è quella che vede il cliente sobbarcarsi interamente i costi extra, inclusi quelli in conto capitale, per decarbonizzare il trasporto della sua merce, ad esempio acquistando o noleggiando di camion elettrici o realizzando da zero magazzini a zero emissioni. Il quarto approccio identificato da McKinsey&Company è infine quello che non prevede alcun costo aggiuntivo per i clienti, ma fa leva su misure quali l’accorpamento di più spedizioni in una, la scelta di modalità di modalità di trasporto a minor impatto (dalla strada alla ferrovia o dall’aereo alla nave) e tempi di consegna più lunghi. Le indicazioni raccolte dall’analisi mostrano però che in particolare quest’ultima prospettiva ha riscosso finora poco interesse tra la clientela.
In questo quadro, secondo la società di consulenza, l’unica via deve essere quella di un cambio di approccio.
In altre parole, anziché reagire alla domanda della clientela, gli operatori logistici dovrebbero cercare di darle forma, sempre puntando non solo a soddisfare il proprio cliente diretto ma mirando anche a compiacere il consumatore finale. Anziché continuare a contare su servizi a sviluppo incrementale, con l’ambizione massima di girare i costi sugli acquirenti, gli operatori dovrebbero invece puntare a sviluppare insieme ai clienti servizi dedicati in grado di offrire valore e vantaggi strategici, rivolgendo in particolare la loro attenzione su quelle aziende di aspiranti pionieri della decarbonizzazione, desiderose cioè di affermarsi come leader ‘green’ e in grado di farsi carico dei relativi costi.
Tra questi, secondo McKinsey&Company, in primis il settore retail e in particolare composto da aziende con prodotti di alto valore e dai buoni margini. Un altro target a cui mirare è quello composto da realtà che devono soddisfare norme o desiderata degli stakeholder, in particolare di paesi a regolamentazione più rigida (come quelli scandinavi) o con una opinione pubblica più attenta delle altre.
Un lavoro che secondo gli analisti può essere svolto appoggiandosi a documenti pubblici come comunicati stampa e company reports. Una volta identificati i potenziali clienti, secondo McKinsey&Company sarà necessario costruire insieme a loro la relativa proposta, la quale potrebbe richiedere sforzi minori del previsto (considerando che la decarbonizzazione della logistica potrebbe incidere ad esempio del 2% sul prezzo finale di un paio di jeans o dell’1% per uno smartphone). Ancora più che alle aziende, gli analisti suggeriscono di indirizzarsi verso singoli brand o linee di prodotto e di interfacciarsi non solo con i reparti acquisti delle aziende ma anche con quelli commerciali e possibilmente con i livelli più alti del management.
Fondamentale poi sarà la fase successiva, di vendita e promozione. Al riguardo il report suggerisce di sviluppare etichette ad hoc e di dotarsi di un reparto vendite formato sui temi della sostenibilità, in grado di interagire con i consumatori e rispondere alle loro eventuali osservazioni.
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