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Economia

Esportatori troppo ottimisti sul 2024 secondo Allianz Trade

Le aziende interpellate dalla società di analisi hanno inoltre detto di temere più di tutti il rischio di mancato pagamento

di REDAZIONE SUPPLY CHAIN ITALY
27 Maggio 2024
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Piazzale container (1)

Quale sarà l’andamento delle esportazioni nel 2024? Allianz Trade ha posto questa domanda a un campione di rappresentanti (circa 3mila) di aziende di Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti attive nelle vendite all’estero, ricavandone un riscontro – di cui ha dato conto nel suo ultimo Global Survey – che però giudica un po’ troppo ottimista. Memore di quanto accaduto lo scorso anno (quando nella precedente analisi, il 70% degli intervistati aveva dichiarato di aspettarsi un aumento del fatturato generato dalle esportazioni, salvo poi fare i conti con recessione commerciale e rallentamento della domanda superiore alle aspettative), la società nel suo report ha lasciato intendere di considerare il risultato raccolto troppo positivo. Ben l’82% degli intervistati interpellati per l’edizione 2024 ha infatti dichiarato di attendersi, a partire dalla seconda metà dell’anno, un miglioramento delle performance sui mercati esteri, in particolare per i segmenti di vendita al dettaglio, elettrodomestici, computer e telecomunicazioni. In aggiunta, il 40% delle imprese ha spiegato di aspettarsi per il 2024 un aumento di oltre il 5% del volume d’affari da export. A generare questa convinzione c’è la l’idea che la ricostituzione delle scorte di prodotti finiti sta accelerando, così quella che la domanda globale stia crescendo. Gli analisti hanno spiegato però di voler dare per l’anno in corso una stima più prudente, ipotizzando un aumento del commercio globale del 2,8%  in valore (dopo il -2,9% del 2023), un dato “significativamente inferiore alla media nel lungo periodo del +5%” e che “riflette il rischio di interruzioni del trasporto marittimo globale, come la crisi del Mar Rosso e l’aumento del protezionismo”, spiega in particolare Françoise Huang, Senior Economist per l’area Apac della società.

Tra i rischi che più preoccupano la categoria, il principale resta quello di mancato pagamento, che supera anche quelli relativi a crisi geopolitiche, carenza di fattori produttivi/manodopera e questioni concernenti il finanziamento. In particolare gli intervistati dicono di attendersi dell’intensificarsi di questo fenomeno, una previsione che secondo Allianz è in linea con le attese dei suoi analisti, i quali stimano un aumento del 9% delle insolvenze a livello globale. Sul tema l’indagine rileva come il 42% delle imprese preveda che i termini di pagamento delle esportazioni si allungheranno nei prossimi 6-12 mesi, creando pressione sui flussi di cassa. Inoltre il 40% degli intervistati.

Lo studio ha poi toccato il tema dei rischi relativi alle catene di approvvigionamento e alla soluzione del re-shoring, rilevando anche in questo caso una discrepanza tra quanto dichiarato dagli operatori (il 53% dice di star prendendo in considerazione trasferimenti produttivi e di fornitura) e la realtà (a optare nel concreto per questa strada è una quota meno numerosa, con una prevalenza di realtà spagnole o tedesche). Rispetto ai rischi per le catene di approvvigionamento, gli intervistati citano in maggior misura quelli relativi alla loro complessità, la loro concentrazione o alla concorrenza. Quelli legati alla geopolitica, alla politica e al protezionismo vengono menzionati solo successivamente, e ancora dopo vengono quelli Esg. Tuttavia secondo Allianz i timori delle imprese sono legate al livello di esposizione delle loro supply chain, ovvero le aziende con catene più lunghe e oltre metà della produzione all’estero temono in particolare l’intensificarsi della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina.

Secondo il report, inoltre, un eventuale reshoring, per ammissione delle stesse imprese, non riguarderebbe in modo significativo la Cina, dato che solo l’11% del campione ha dichiarato di voler ridurre la sua presenza nel paese a fronte di una fetta di oltre il 33% che la vuole aumentare. Tra coloro che dicono di essere alla ricerca di alternative, le aree più citate sono quella dell’Asia-Pacifico (37%) – perlopiù più nella zona Asean – e dell’Europa occidentale (17%).

L’analisi si è poi concentrata sul tema della sostenibilità, evidenziando come il 72% degli intervistati con responsabilità legate alla catena di approvvigionamento ne abbia anche in materia Esg. Solo il 27% degli intervistati però è “fermamente convinto” che la sua azienda abbia attuato misure in grado di avere impatti significativi rispetto a scelte logistiche (26%) e sviluppo di prodotti più sostenibili (25%). Infine, anche se il 76% degli intervistati dichiara che la propria azienda dispone di un “piano chiaro per l’eliminazione

graduale dei combustibili fossili, indipendentemente dalla fluttuazione dei prezzi”, quasi quasi 2 aziende su 3 prevedono di ridurre le emissioni solo dell’1-5% nei prossimi dodici mesi, una percentuale che mostra come l’obiettivo di emissioni net zero entro il 2050 sia ancora molto lontano.

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