Problemi nella supply chain ancora per quattro aziende italiane su cinque
Nel 2024 secondo un report di Reichelt elektronik sono però scesi a 17 i giorni di interruzione media nella produzione
La congestione della supply chain non è stata spesso indicata come forte criticità per le aziende, negli ultimi tempi. Secondo un report di Reichelt elektronik condotta su 250 aziende italiane intervistate da OnePoll, tuttavia, le catene di fornitura continuano a essere tutt’altro che normalizzate e i problemi a essere diffusi.
Nel 2024, circa quattro aziende su cinque (74%) hanno segnalato infatti interruzioni significative o moderate, a causa di colli di bottiglia nella supply chain. Quasi la metà (48%) in particolare ha dovuto fermare la produzione per almeno 20 giorni a causa della mancanza di componenti. Ciò detto, lo studio ha anche rilevato come il numero medio di giorni di produzione persi sia “notevolmente diminuito”: se nel 2023 era pari a 32, quest’anno si è scesi a 17 (nel 2022 la media era stata di 44 giorni).
Tra le parti più difficili da ottenere, gli intervistati hanno indicato i pezzi di ricambio per dispositivi e macchinari (40%), i sensori (40%), i semiconduttori (38%) e i ricambi per utensili e macchinari (27%), in modo simile a quanto visto nel 2023. Più che dei colli di bottiglia (48%) le aziende hanno però sofferto per l’aumento dei prezzi dei componenti critici (70%). A cambiare rispetto al passato è anche lo sguardo dei rispondenti, ora (48%) più ottimisti rispetto allo scorso anno (38%).
L’analisi ha evidenziato anche come un buon numero di intervistati (40%) dica di prestare più attenzione alla disponibilità a lungo termine dei componenti durante lo sviluppo di nuovi prodotti. Meno della metà (41%) comunque ha identificato fornitori alternativi per tutti, o quasi tutti, i componenti. Inoltre il 20% delle aziende ha rimosso un prodotto dal proprio catalogo (o lo ha modificato) per via del costo troppo alto di alcuni componenti.
Guardando poi alle soluzioni messe in atto, l’analisi di Reichelt elektronik evidenzia come il 34% degli intervistati abbia già aumentato i propri livelli di stock, mentre un ulteriore 46% prevede di farlo nel 2025. Un terzo (32%) è passato a fornitori regionali per essere meno dipendente dalle influenze internazionali, mentre un ulteriore 45% intende perseguire questo piano l’anno prossimo. Un numero simile di aziende (44%) ha inoltre ampliato la propria rete di fornitori e un ulteriore 38% prevede di farlo nel prossimo anno.
A preoccupare le aziende rispetto alle loro catene di approvvigionamento sono però anche questioni di sicurezza. Una su tre (29%) ha adottato già quest’anno in questa direzione, mentre quasi la metà delle aziende (46%) prevede di compiere questo passo nel prossimo anno.
Tra le azioni approntate dalle aziende, pesa poi anche la Direttiva sulla Due Diligence Aziendale. Il 26% ha dichiarato di aver cambiato un fornitore quest’anno per conformarsi alla legge e un ulteriore 47% prevede di farlo nei prossimi 12 mesi.
Tra i maggiori ostacoli, gli intervistati vedono poi i costi energetici elevati (69%), la guerra in Ucraina (65%), la difficile situazione economica mondiale (64%) e quella del proprio paese (59%). Preoccupa anche la possibile escalation del conflitto in Medio Oriente (56%) e il verificarsi o intensificarsi dei conflitti commerciali tra Cina e Ue (55%).
Passando poi alla politica interna, solo la metà delle aziende italiane (49%) è dell’idea che l’attuale governo fornisce loro una solida base per il commercio in un contesto internazionale e auspica l’introduzione di sussidi statali come in Cina (36%), di sovvenzioni o aiuti per ridurre i costi elevati (37%) e di una riduzione della burocrazia (32%). Il 20% si augura inoltre di poter concludere con una maggiore facilità nuovi partenariati commerciali con paesi africani o del Sud Est asiatico.
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