La Commissione Europea avvia la stretta sull’e-commerce cinese
Aperta una indagine su Temu, mentre sei stati membri chiedono la rimozione del limite dei 150 euro per la applicazione dei dazi doganali ai prodotti in import
Che la Commissione Europea stesse valutando una stretta sull’e-commerce cinese a basso costo è cosa nota da quando, qualche mese fa, il Financial Times aveva svelato come allo studio ci fosse la possibile cancellazione della barriera dei 150 euro per l’applicazione dei dazi doganali su prodotti personali o piccoli regali importati dal paese.
Nel frattempo, su questo tema le cose sono avanzate su più fronti. È infatti di pochi giorni fa la notizia che la Commissione ha infatti deciso di aprire un procedimento formale per valutare se Temu possa aver violato la legge sui servizi digitali (Digital Services Act, entrato in vigore lo scorso febbraio), una iniziativa che fa seguito a una analisi preliminare della relazione di valutazione dei rischi fornita dall’azienda cinese a settembre e ad alcuni scambi successivi tra le due parti.
L’indagine, ha spiegato in una nota la stessa Commissione, si concentrerà sulla vendita di prodotti non conformi (con sistemi volti a limitare la ricomparsa di merchant già sospesi), sui rischi connessi alla possibile creazione di dipendenza dal servizio (che si basa su programmi simili a giochi), sul rispetto del Dsa rispetto alla raccomandazione di contenuti e prodotti agli utenti, nonché sulla possibilità di consentire ai ricercatori l’accesso ai dati pubblicamente accessibili dell’azienda.
“Vogliamo garantire che Temu rispetti la legge sui servizi digitali” ha dichiarato la vicepresidente Margrethe Vestager, aggiungendo che il focus sarà in particolare rispetto al fatto che i prodotti venduti soddisfino le norme Ue e non danneggino i consumatori.
Dati i suoi oltre 45 milioni di utenti attivi mensilmente nell’Ue, Temu è stata dichiarata lo scorso 31 maggio ‘piattaforma online di dimensioni molto grandi’ (Vlop) a norma della legge sui servizi digitali Ue. A settembre, la società ha dichiarato di avere 92 milioni di utenti mensili.
Riguardo l’indagine appena avviata, l’azienda ha fatto pervenire a SUPPLY CHAIN ITALY questo commento: “Temu riconosce le preoccupazioni sollevate dalla Commissione Europea e dalle autorità nazionali per la tutela dei consumatori e ribadisce il suo impegno a collaborare strettamente con le autorità competenti per affrontare eventuali problematiche e garantire il rispetto delle normative europee. Pur avendo ottenuto una crescente popolarità tra i consumatori in un tempo relativamente breve, siamo ancora una piattaforma giovane — con meno di due anni di attività nell’UE — e stiamo attivamente imparando e adattando alle esigenze locali. Collaboreremo pienamente con questa indagine, poiché riteniamo che tale scrupolosità avvantaggi i consumatori, i commercianti e la piattaforma a lungo termine”.
Proprio nel mese di settembre, era venuta alla luce un’altra iniziativa a testimoniare l’attenzione crescente sul tema dell’e-commerce cinese a basso costo in ingresso in Ue.
I governi di sei stati membri hanno infatti inviato una lettera urgente alla Commissione (autrice la Germania, cofirmatarie Austria, Danimarca, Francia, Paesi Bassi e Polonia) in occasione di una riunione del Consiglio sulla Competitività – una delle formazioni in cui si riunisce il Consiglio della Unione Europea – segnalando la necessità di “discutere e riflettere su un ulteriore approccio unificato rispetto all’applicazione delle norme Ue nell’ambito dell’e-commerce”. Uno dei punti su cui i sei paesi chiedevano interventi prioritari era proprio quello della rimozione del limite dei 150 euro per l’applicazione di dazi doganali ai prodotti importati. Nella missiva, si evidenziava inoltre come molti dei prodotti fabbricati in paesi terzi e spediti nella Ue dopo acquisti on line non fossero “conformi ai requisiti Ue”. La nuova Commissione, ricordava la lettera, ha annunciato un’applicazione più rigorosa della normativa nel settore dell’e-commerce, basata su efficaci controlli doganali, fiscali e di sicurezza. I sei paesi firmatari, evidenziando di voler “sostenere questa missione”, chiedevano l’applicazione del Digital Service Act a piattaforme Vlop quali Temu e Shein, in particolare raccogliendo “dati di vasta portata sulle violazioni” al fine di “individuare condotte scorrette sistematiche e imporre sanzioni efficaci”. Al riguardo i sei paesi chiedevano la digitalizzazione delle specifiche del prodotto – ad esempio tramite il passaporto digitale di prodotto-, il miglioramento della sorveglianza del mercato, ad esempio attraverso il rafforzamento dei poteri di intervento delle autorità preposte e il loro coordinamento con quelle doganali.
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