Nell’immobiliare logistico italiano è (quasi) l’era del brownfield
Crescono l’interesse degli investitori (75%) e il numero di sviluppi in corsa (32%), ma le criticità di fondo nell’avvio di iniziative di recupero permangono
Milano – Gli sviluppi di immobiliare logistico su aree brownfield sono ora in cima alle preferenze degli investitori. Secondo una indagine realizzata da Engel & Volkers e presentata da Gianluca Sinisi nel corso dell’evento annuale dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano, ben il 75% degli intervistati ha detto di essere interessato a progetti di questo tipo. Sviluppi di tipo greenfield incontrano l’interesse del 71% del campione, mentre il 60% degli intervistati si è detto favorevole a investire in immobili per la distribuzione last mile “in città primarie”.
Ad attrarre, in progetti di sviluppo su aree di recupero, sono diversi fattori. Certamente – ha evidenziato una altra analisi condotta direttamente dall’Osservatorio – l’aspetto della sostenibilità ambientale (indicato dal 39% dei 29 rispondenti a questa survey), ma anche quello dell’accesso a location strategiche e migliori (32%).
A testimoniare che l’interesse per lo sviluppo di immobili logistici in aree brownfield è già concreto sono stati anche i dati presentati da Marco Clerici, responsabile dell’area Ressearch& Advisory di World Capital Group. Secondo la società di consulenza, allo stato attuale sono 74 gli sviluppi logistici in tutta Italia (per circa 4,5 milioni di metri quadrati, che aumenteranno dell’11% lo stock immobiliare esistente). Del totale, il 32% è costituito proprio da progetti di recupero di aree dismesse, per un totale di “1,4 milioni di metri quadrati di aree che saranno restituiti alla collettività”. Da rilevare a margine che Wcg ha anche fornito alcuni dati aggiornati sull’intero patrimonio immobiliare logistico italiano, che secondo le stime della società ora conta 3.334 edifici, per complessivi 40,5 milioni di metri quadrati coperti.
Se l’interesse crescente per gli sviluppi brownfield, comunque, è ora ampiamente attestato, a non cambiare sono però le criticità che rendono difficile l’avvio di progetti di questo tipo. Secondo l’indagine dell’Osservatorio, il principale è rappresentato dall’incertezza (indicata dal 35% del campione), relativa sia allo stato reale dell’immobile presente e del terreno su cui è situato, sia al comportamento della Pubblica Amministrazione (ad esempio con la richiesta di oneri non previsti), sia alla possibile modifica della destinazione d’uso. Il secondo nodo (31% delle risposte) è quello del rapporto costi/benefici, in cui i vantaggi dato dal recupero devono fare letteralmente i conti con i costi di demolizione e smaltimento dei materiali risultanti, della bonifica del terreno e con i limiti strutturali che spesso non si possono superare. Tra questi, ha evidenziato Antonio Schinardi, amministratore delegato di Engineering 2K, anche la dimensione dei lotti, che a volte non è idonea a sviluppi di tipo logistico, o la presenza di una viabilità non adeguata. Considerando in particolare i contesti urbani, che solitamente sono l’ambito ideale di progetti di questo genere, si aggiungono poi secondo Schinardi valutazioni specifiche da fare rispetto all’impatto ambientale, acustico ed estetico del progetto e alla difficoltà di realizzare sistemi di laminazione delle acque.
F.M.