Dazi USA ed escalation commerciale: dove stiamo andando e soluzioni operative per le imprese
Da C-Trade e Overy quattro consigli su strategie e soluzioni operative per le aziende europee


Contributo a cura di Lucia Iannuzzi e Paolo Massari *
* International trade advisors e co-fondatori delle società di consulenza doganale C-Trade e Overy
Chi pensava che le tariffe imposte da Trump contro Canada, Cina e Messico dal 4 marzo, poi estese a molti altri Paesi il 12 marzo con le Proclamations 10895 e 10896, segnassero la fine della sua follia daziaria, si sbagliava.
Se lo scorso 12 marzo, infatti, sono entrati in vigore dazi fino al 25% sulle importazioni negli Stati Uniti di acciaio e alluminio e specifici prodotti derivati, con l’obiettivo di proteggere l’industria siderurgica nazionale e contrastare l’eccesso di capacità produttiva globale (secondo l’OCSE, la sovracapacità globale dell’acciaio potrebbe raggiungere 630 milioni di tonnellate entro il 2026), ci si aspettava (ed è arrivato) l’annuncio di nuovi dazi che hanno il fine dichiarato di ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dai prodotti stranieri e a rafforzare l’economia nazionale.
Le mosse in programma sembrano orientarsi lungo tre direttrici: tariffe reciproche, tariffe settoriali e tariffe secondarie. Misure con impatti differenziati, ma convergenti verso un obiettivo comune: rafforzare il potere negoziale degli Stati Uniti e tutelarne gli interessi strategici attraverso la leva commerciale.
Conseguenze della politica dei dazi USA per le imprese italiane ed europee
Le imprese italiane ed europee, in particolare quelle nei settori dell’acciaio, dell’alluminio e dei prodotti colpiti dai nuovi dazi, si trovano ad affrontare sfide significative.
Considerando che, secondo l’American Chamber of Commerce to the EU, il valore degli scambi commerciali tra le due sponde dell’Atlantico ammonta a 9,5 trilioni di dollari all’anno, è evidente la portata del possibile danno economico.
In una audizione al Parlamento europeo, lo scorso 21 marzo, la Presidente della BCE Lagarde ha dichiarato: “L’impatto delle misure commerciali rimane incerto, ma secondo la Bce un dazio americano del 25% sulle importazioni europee ridurrebbe la crescita nella zona euro di 0,3 punti nel primo anno e una ritorsione europea aumenterebbe questa perdita a 0,5 punti”.
“Le prospettive di inflazione diventerebbero significativamente più incerte. Nel breve periodo, le misure di ritorsione dell’Unione europea e l’indebolimento del tasso di cambio dell’euro – dovuto alla minore domanda di prodotti europei da parte americana – potrebbero far salire l’inflazione di circa mezzo punto”.
Per quel che riguarda l’Italia, invece, è l’Istat ad avvertire che queste tensioni nei rapporti commerciali potrebbero frenare la crescita dell’economia nazionale, dato che gli Stati Uniti rappresentano uno dei principali mercati di destinazione per i prodotti italiani: nel 2024, infatti, hanno assorbito circa il 10% delle esportazioni del Paese.
Rischi economici anche per gli Stati Uniti
Un’analisi condotta dalla International Trade Commission ha rilevato che i dazi introdotti nel 2018 hanno causato una riduzione della produzione in diversi comparti, con perdite complessive superiori ai 3 miliardi di dollari. La nuova ondata di tariffe potrebbe avere conseguenze ancora più pesanti, con una stima di 100.000 posti di lavoro a rischio negli USA, di cui 20.000 soltanto nel settore dell’alluminio.
Nonostante l’amministrazione statunitense punti a rafforzare la produzione nazionale e a ridurre la dipendenza dalle importazioni, sembra che non stia tenendo conto del rischio di un’escalation commerciale con l’Europa e altri partner chiave che potrebbe tradursi in un rallentamento economico e in un generale aumento dei prezzi.
L’aumento dei prezzi dei prodotti importati potrebbe alimentare l’inflazione e ridurre il potere d’acquisto dei consumatori americani. Per non parlare del fatto che gli Stati Uniti potrebbero dover affrontare una riduzione della capacità produttiva nei settori industriali, un incremento della delocalizzazione e una perdita ulteriore di competitività rispetto ai mercati asiatici.
Strategie e soluzioni operative per le aziende europee
Quella annunciata dal Presidente Trump non è una politica commerciale lineare, ma una combinazione di strumenti economici, normativi e comunicativi pensati per agire su più fronti. È quindi fondamentale per le imprese:
- monitorare costantemente le decisioni dell’amministrazione statunitense: sembra banale dirlo, ma rimanere informati è l’unico modo per provare ad anticipare i passi di questa che in effetti è una guerra commerciale;
- diversificare i mercati di riferimento, riducendo la dipendenza dagli Stati Uniti e potenziando la presenza in aree come Asia, Africa e America Latina può essere una buona strategia per compensare le perdite derivanti dai dazi.In tale direzione si muove il Piano di azione per l’export italiano redatto dal MAECI e presentato recentemente dal ministro Tajani, nel quale si afferma: «Il surplus commerciale italiano con gli Stati Uniti vale 38,8 miliardi di Euro. A fronte dell’annuncio di dazi da parte dell’Amministrazione americana, occorre rafforzare ulteriormente i rapporti economici con gli Stati Uniti, anche in un’ottica di riequilibrio del surplus della bilancia commerciale: è possibile una “strategia transattiva”, con accordi su gas (GNL) e difesa, anche sotto il profilo degli acquisti. È importante preservare la presenza delle nostre imprese nel mercato americano, perché se le nostre imprese uscissero dal mercato USA i costi di rientro sarebbero molto alti. Inoltre, il rafforzamento della nostra presenza imprenditoriale potrebbe mitigare la portata dei dazi americani nei confronti del nostro export»;
- localizzare la produzione: aprire stabilimenti – per chi ne ha la possibilità – o creare joint venture con aziende americane può consentire di aggirare le tariffe e mantenere la competitività;
- stimare attentamente i propri tassi di pass-through, ossia la capacità di trasferire il costo dei dazi sui prezzi finali, per anticipare gli impatti economici. il pass-through è maggiore nei settori dove più imprese sono colpite dallo stesso dazio, mentre è più contenuto quando la misura è isolata: valutare bene i propri tassi di pass-through sarà determinante per mantenere quote di mercato senza compromettere la domanda.
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