Fincantieri vuole più controllo sulla sua supply chain
Il Svp Procurement David Bernardi ha spiegato come il gruppo stia supervisionando i flussi inbound, finora in gran parte nelle mani dei suoi fornitori
Marghera (Venezia) – Dal Business Meeting BREAK BULK ITALY, andato in scena a Marghera venerdì scorso, non sono emerse solo le richieste delle aziende che spediscono impiantistica, carichi break bulk e project ai fornitori dei relativi servizi. Il workshop ha fatto anche da palcoscenico a una presa di coscienza ‘pubblica’ da parte di Fincantieri rispetto al ruolo assegnato finora dal gruppo alla gestione della sua logistica, e alla necessità crescente di modificare questo approccio. Il quale – ha illustrato nel suo intervento David Bernardi, Senior Vice Procurement dell’azienda – per quel che riguarda i flussi inbound è stato finora in gran parte delegato a quella galassia di Pmi che rappresentano la sua base di fornitori. “Eccellenze piccole, che dobbiamo far crescere” ha commentato il manager, per poi dettagliare il ragionamento.
“Quella attuale è per noi una fase di grande cambiamento. I nostri mercati tirano tutti, per alcuni cantieri abbiamo ordini fino a 10 anni, siamo forti anche in quelli occidentali di classe A visto che ad esempio forniamo navi militari agli Usa (tramite la controllata Usa Fincantieri Marine Group, ndr)” ha esordito. A quelli tradizionali se ne stanno ora peraltro aggiungendo di nuovi, come quelli dell’eolico o dell’underwater.
“Abbiamo bisogno di una supply chain, l’80% di quella attuale è gestita dai nostri fornitori” ha proseguito Bernardi, evidenziando quindi la necessità di Fincantieri di avere sotto controllo i costi della logistica, anche in considerazione del fatto che ogni ritardo in capo al gruppo per la consegna di una nave “porta al pagamento di grandi penali”.
Nel concreto, ha spiegato Bernardi, la costruzione di una unità navale richiede spesso l’invio di grandi componenti come motori e fumaioli, che attualmente vengono spediti franco destino da chi li realizza. Anche nell’ambito di competenza della sola Fincantieri la costruzione è però ormai un’attività “spezzettata”, con la realizzazione di tronconi in uno stabilimento spesso diverso da quello dell’assemblaggio finale, “dall’Italia all’Italia, o dalla Romania verso l’Italia o la Scandinavia” (es. con l’ausilio della controllata Vard). Allargando lo sguardo alle diverse attività del gruppo, ecco alcuni dei numeri forniti dal manager per inquadrare l’entità delle movimentazioni: tra i 20 e i 30 trasporti di parti effettuati ogni anno via rimorchiatore e barge, per un costo di 10-15 milioni di euro; 4.000-5.000 trasferimenti via strada di parti in acciaio, per 4-5 milioni di euro l’anno; altri 10-20 trasporti su gomma l’anno di parti meccaniche o heavy load, per un costo di 0,5-1 milione di euro; infine, 1.300-1.600 spedizioni di materiali per progetti infrastrutturali, per circa 0,8-1,5 milioni di euro all’anno.
“Prendere in mano la gestione logistica dell’arrivo di tutti i materiali sarebbe impossibile. Dopo il Covid abbiamo visto crescere la complessità di queste operazioni, del resto noi abbiamo grandi penali se non rispettiamo tempi di consegna nave”. Al momento quindi la risposta di Fincantieri è stata quella di “creare dei punti di controllo per verificare i servizi dei nostri fornitori rispetto alla logistica. Abbiamo fatto questo cambiamento anche perché abbiamo navi in consegna nel 2030, dobbiamo poter stimare questi costi”.
“Noi, le competenze presenti oggi in questa stanza non le abbiamo mai usate – ha concluso Bernardi, riferendosi ai numerosi fornitori di trasporto e logistica presenti in sala durante il convegno – le abbiamo fatte usare ai nostri fornitori”. A breve potrebbe non essere più così.
F.M.
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