Gasselin: “Non è necessario fare company train per sfruttare l’intermodalità in Nord Italia”
Dal vertice di Contship Italia la ‘scoperta’ di dover promuovere i treni container già attivi fra le aziende che lamentano difficoltà nell’approntare modalità di trasporto sostenibili
San Donato Milanese (Milano) – Basta scuse. È questo in estrema sintesi il messaggio lanciato durante il Business Meeting ‘Container Italy: integrazioni verticali e cambiamenti epocali dall’amministratore delegato di Contship Italia, Matthieu Gasselin, ai caricatori che lamentano l’impossibilità di avvalersi dei servizi intermodali ferroviari per via della carenza di collegamenti sulle tratte di loro interesse, di frequenze adeguate o perché non hanno a disposizione carichi consistenti.
“Non è necessario prendere un impegno finanziario importante e fare company train per sfruttare l’intermodalità” è stata la replica, in particolare sull’ultimo punto, del manager ai rappresentanti dell’industria presenti in sala. A testimonianza diretta di quanto affermato, Gasselin ha citato in particolare l’ecosistema creato dall’azienda tra La Spezia (dove gestisce il La Spezia Container Terminal) e Milano (con il suo Rail Hub di Melzo). Due nodi messi in relazione dai servizi ferroviari offerti da Contship Italia (tramite le controllate Oceanogate e Hannibal) che però appunto sono “treni aperti, su cui pertanto è possibile caricare anche un solo container”, dalle frequenze peraltro piuttosto elevate (14 partenze a settimana sulla direttrice).
Se da un lato quello di Gasselin è sembrato un richiamo alle aziende a un impegno maggiore, l’intervento del vertice di Contship è suonato però anche come una autocritica rispetto alla capacità degli stessi operatori intermodali di promuovere i propri servizi presso la clientela. Alla quale – perlomeno stando alle reazioni dei caricatori presenti in sala e sul palco durante il convegno – in parte l’offerta rimane sconosciuta.
Chiaramente le resistenze rispetto alla possibilità di approntare treni container non si limitano, da parte delle aziende committenti, alla scarsa conoscenza dei servizi, ma hanno a che fare spesso con diversi altri fattori, innanzitutto – come sottolineato ancora da Gasselin – la competitività del trasporto su strada e la sua flessibilità (nonché, ha evidenziato sul tema l’imprenditore portuale genovese Giulio Schenone, con le imponenti sovvenzioni riservate a questo comparto rispetto al via ferro: “Parliamo di un miliardo di euro tra accise, formazione, etc. destinati all’autotrasporto contro la ventina di milioni del Ferrobonus”).
A esprimere il punto di vista “della merce” (riluttanza a servirsi dell’intermodalità inclusa) sul tema sono stati dal palco in particolare Giovanni di Lecce (Transport Manager di Skf) e Matteo Bianchi (coffee trader di Lavazza) in relazione ai servizi tra Genova e l’hinterland. Parlando dei collegamenti da Genova in particolare con l’interporto Sito il primo ha rilevato: “Noi abbiamo un terminal a Orbassano, vorremo usare l’intermodale e avevamo provato con un grande operatore a farlo sia per l’import che per l’export ma non ci siamo riusciti, non c’erano forse i volumi”. Per quanto riguarda l’azienda del caffè, che in Italia ha due grandi stabilimenti di lavorazione a Torino e Gattinara, il suo manager ha evidenziato “le distanze sono troppo brevi o con pochi volumi, speriamo di poterne beneficiare in futuro”, mentre rispetto alla possibilità di servirsi del porto di La Spezia (sfruttando le sue connessioni ferroviarie) Bianchi ha spiegato che sullo scalo “arriva poco, e poi non sarebbe una scelta su cui noi siamo parte attiva”.
Simile il punto di vista di Matteo Baracchi (Saint Gobain Abrasivi) che ha posto in particolare due criticità. La prima: “Un transit time di 3 giorni verso una destinazione in Europa per noi è accettabile, non trasportiamo organi umani. Certo che se questi diventano 5 o 6, su alcune tratte questo è un problema”. La seconda è connessa alla maggiore flessibilità del trasporto stradale, non solo per piccoli inconvenienti ma anche nel caso di emergenze maggiori. “A un incidente su un tir si può reagire, ma il ferro è un sistema chiuso, è difficile trattarle. Non sono mai riuscito a trovare soluzioni buone in questo senso”. Agli operatori del trasporto intermodale il compito di far cambiare loro idea.
F.M.
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