Spediporto e Coldiretti temono ripercussioni sugli esportatori italiani dagli scioperi nei porti Usa
L’associazione degli spedizionieri genovesi ricorda come lo scambio tra lo scalo ligure e il paese nordamericano interessi (dati 2022) 336 mila contenitori tra imbarco e sbarco
“Esportatori e spedizionieri guardano con estrema preoccupazione alla situazione che da oggi bloccherà i porti della costa Est e del Golfo del Messico. Gli Stati Uniti sono il primo partner commerciale dell’Italia fuori dall’Europa. Con lo sciopero, ogni settimana, si stima che a livello mondiale saranno circa 500 mila i contenitori che non potranno sbarcare o raggiungere le destinazioni finali. Un danno gravissimo all’economia Usa, ai suoi consumatori, ma anche agli esportatori, che certamente vedranno lievitare il costo dei noli già nelle prossime settimane”.
Non usa mezzi termini Giampaolo Botta, direttore generale di Spediporto (l’associazione genovese degli spedizionieri), per esprimere tutta la sua preoccupazione in merito all’agitazione che sta interessando i porti della parte orientale degli Stati Uniti. Uno sciopero che arriva a quasi un anno dal primo attacco dei ribelli Houthi contro le navi in transito nel canale di Suez e che rischia, dunque, di mandare nuovamente in crisi il mercato mondiale dei contenitori, con perdite giornaliere che JP Morgan stima tra i 3,8 e i 4,5 miliardi di dollari.
Va ricordato come lo sciopero interessi 36 porti situati sulla costa orientale degli Stati Uniti e nella zona del Golfo del Messico; l’astensione dal lavoro, proclamata dall’International Longshoremen’s Association (ILA), coinvolge circa 45 mila addetti, e paralizzerà le attività di scali in grado di movimentare tra il 40 e il 50% dei volumi di tutti i porti statunitensi. Le perdite di volume in un mese, potrebbero raggiungere i due milioni di contenitori secondo i dati presentati al Fiata Congress di Panama dove Spediporto era presente proprio con il direttore generale Botta e il presidente Andrea Giachero.
Anche i porti del Mediterraneo subiranno pesanti ripercussioni secondo gli spedizionieri: ogni settimana sono a rischio circa 71.000 contenitori, in ambo le direzioni, sull’asse con la costa orientale degli Stati Uniti. Nazione quest’ultima che, per il porto di Genova, rappresenta un riferimento imprescindibile: gli ultimi dati disponibili da parte di Autorità di Sistema Portuale, riferiti al 2022, parlano di 336 mila contenitori movimentati tra imbarco e sbarco. Una cifra superiore a quella legata, ad esempio, a tutte le destinazioni europee.
“Un ulteriore elemento di destabilizzazione della filiera logistica – osserva ancora Botta – che dovrà essere affrontato dagli operatori. Infatti, dopo l’Ucraina, la crisi di Suez e del Medio Oriente, quella di Panama, ora arriva anche lo shut down dei dockers della East Coast a togliere il sonno agli operatori”.
Come cercare, dunque, di arginare i problemi che si verranno a determinare? Spediporto sottolinea che la soluzione alternativa più gettonata, al momento, è quella relativa all’utilizzo dei porti della West Coast (o del Canada), ma gli operatori stanno puntando anche sul cargo aereo e su una più accurata gestione delle scorte per evitare interruzioni nella catena di approvvigionamento. Gli operatori a questo punto possono augurarsi “ovviamente – conclude il direttore generale di Spediporto – che la situazione possa trovare una rapida soluzione già nei prossimi giorni. Il tema entrerà prepotentemente nel confronto politico legato alla campagna elettorale di queste settimane e questo potrebbe essere un elemento favorevole per individuare rapidamente una soluzione”.
Sulla stessa questione è interventuo anche Stefano Messina, presidente di Assarmatori, che parlando con l’agenzia di stampa la Presse ha detto: “Lo sciopero dei portuali della East Coast statunitense inevitabilmente sortirà ripercussioni anche in Italia, ma al momento è difficile prevedere di quale portata: molto dipenderà dalla durata effettiva del blocco e dalla capacità del trasporto marittimo di far fronte a questa ennesima emergenza”. Oltre a ciò ha sottolineato che “a essere maggiormente colpito sarà invece l’export, dal momento che gli U.S.A. sono i principali destinatari del Made in Italy al di fuori dell’Unione Europea, e il secondo Paese in assoluto dopo la Germania, con il trasporto via nave che assorbe la quasi totalità di questi traffici: parliamo di merce per un valore di oltre 33 miliardi di euro nei primi sei mesi del 2024, in crescita del 3,8% rispetto allo stesso periodo del 2023”.
“La crisi del Canale di Suez, con gli attacchi degli Houthi ai mercantili in transito nell’area dello Stretto di Bab el-Mandeb, ha evidenziato ancora una volta la flessibilità di questo comparto, che in poco tempo è capace di riorganizzarsi con modifiche alle rotte e ai porti di scalo per garantire la consegna della merce nei tempi previsti: l’aumento dei noli, che in questo caso ha riguardato prevalentemente l’import dal Far East, non ha avuto impatti rilevanti sull’inflazione in Italia, né si sono registrati problemi legati alle forniture” aggiunge ancora Messina. “I dati del porto di Genova, principale hub per l’interscambio con l’East Coast, ci dicono che ogni anno sono oltre 350mila i Teu che si muovono lungo questa rotta, con un trend costante di crescita che oggi rischia di essere seriamente messo in discussione. Anche in questo caso ritengo tuttavia che i problemi maggiori saranno di tipo organizzativo e logistico per armatori e spedizionieri, e di un possibile aumento dei costi per gli esportatori, mentre l’impatto sull’inflazione e sulle forniture in Italia non dovrebbe farsi sentire oltremisura” conclude il presidente di Assarmatori.
Particolarmente preoccupata è la Coldiretti che in una nota ha scritto: “Lo sciopero a oltranza dei lavoratori portuali Usa colpisce anche le esportazioni marittime di cibo Made in Italy negli Stati Uniti che nel 2023 sono state pari a 6,4 miliardi di euro in valore” sulla base dei dati Istat sul commercio estero. “Questo potrebbe influire sulla spedizione di beni deperibili come i prodotti alimentari, causando ritardi significativi che potrebbero comprometterne la qualità o aumentare i costi di trasporto. Ogni anno oltre il 95% in valore delle esportazioni agroalimentare tricolori raggiunge gli States via mare (rispetto al 63% del totale generale), con vino, olio d’olivo e pasta a guidare la classifica dei prodotti più acquistati, secondo l’analisi Coldiretti. Gli Usa rappresentano anche il primo sbocco commerciale extra Ue per il cibo Made in Italy, e il terzo a livello mondiale”.
Secondo l’associazione lo sciopero dei porti americani rischia dunque “di rappresentare un nuovo colpo per i traffici via mare dell’Italia dopo le tensioni legate al blocco dei traffici sul Mar Rosso legati agli attacchi Houthi. L’allungamento delle rotte marittime tra Oriente e Occidente, costrette ad evitare il Canale di Suez e a circumnavigare il Sud Africa, hanno portato – precisa la Coldiretti – a un aumento dei costi di trasporto del 659% secondo il Centro Studi Divulga, mentre i tempi di percorrenza sono aumentati mediamente di 7-10 giorni. E a risentirne sono stati soprattutto i prodotti più deperibili, a partire dall’ortofrutta”.