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Non piace a tutti il reshoring delle nocciole di Nutella
Lanciato nel 2018 – e quindi ben prima dell’affiorare di considerazioni legate all’emergenza sanitaria – il piano di Ferrero per riportare in Italia parte della produzione delle nocciole necessarie per realizzare la Nutella è tornato in questi giorni alla ribalta per il rischio – paventato da alcuni agricoltori e relative associazioni di categoria – che […]
Lanciato nel 2018 – e quindi ben prima dell’affiorare di considerazioni legate all’emergenza sanitaria – il piano di Ferrero per riportare in Italia parte della produzione delle nocciole necessarie per realizzare la Nutella è tornato in questi giorni alla ribalta per il rischio – paventato da alcuni agricoltori e relative associazioni di categoria – che la coltivazione intensiva di questo frutto porti allo sviluppo, in alcune aree, di monocolture. Al tema ha dedicato nei giorni scorsi un articolo anche il Financial Times, che ha riportato proprio le voci critiche (e non) di alcuni agricoltori delle zone interessate da questa nuova (e redditizia) attività.
Al di là di considerazioni etiche e agronomiche, il piano è interessante anche perché si presume porterà con sé inevitabili ricadute logistiche, per quanto non affrontate nel dibattito in corso così come dalla stessa Ferrero al momento della sua presentazione. In sintesi, il cosiddetto Progetto Nocciola Italia prevede lo sviluppo entro il 2025 di 20.000 ettari di nuove piantagioni di noccioleto, circa il 30% in più dei 70mila che erano presenti nel 2018, con l’obiettivo di ridurre la quota di frutti acquistati all’estero e di accorciare le supply chain. In particolare l’Italia rappresentava il secondo paese di origine degli approvvigionamenti di nocciole dopo la Turchia e prima di Cile e Georgia. L’intento, aveva spiegato Maurizio Sacco, manager proprio del Progetto Nocciola Italia in Ferrero, era in particolare quello di espandere la produzione al di fuori delle regioni che nella Penisola erano le maggiori produttrici di nocciole, ovvero Piemonte, Lazio, Campania e Sicilia.
Come detto il reshoring, in corso, della produzione di nocciole avrà conseguenze anche nel riequilibrare la quota di frutti che Ferrero importa dall’estero, anche se non è detto che – considerata l’espansione delle vendite che continua a vivere il gruppo di Alba – si tradurrà in un minor acquisto in valore assoluto di prodotti ‘esteri’ (e dei relativi servizi logistici per portarli in Italia).
Quel che è certo è che questa riorganizzazione della filiera si incastrerà nel piano varato da Ferrero per ridurre le sue emissioni, in particolare nel versante che interessa approvvigionamenti di materie prime e semilavorati e distribuzione di prodotti finiti.
Stando al suo Sustainability Report 2020, nelle attività di Ferrero la logistica – su cui ha solo in parte un controllo diretto – ‘pesa’ per il 6,8% del totale delle emissioni di Co2 e per ridurne l’impatto ambientale il gruppo prevede di intervenire su aspetti quali “lo sviluppo di soluzioni di network, la saturazione dei mezzi, la decarbonizzazione della flotta, il passaggio a modalità di trasporto intermodali e l’impiego di energie rinnovabili nei sui centri di distribuzione”. Questo però ben sapendo che le spedizioni che si troverà a gestire sono in aumento “per numero e per dimensione”.
Sotto questo profilo si deve infatti evidenziare come, secondo lo stesso report, nell’anno fiscale 2019-2020 le emissioni legate alle attività di trasporto e distribuzione ‘upstream’ risultano cresciute da circa 610mila a 634mila tonnellate di Co2 equivalente, mentre quelle connesse alla fase di trasporto e distribuzione ‘downstream’ sono pure aumentate, da circa 10mila a 11mila tonnellate.
Relativamente agli interventi approntati nell’anno fiscale 2019-2020 su questo fronte, va citato infine l’avvio di un progetto pilota per lo sviluppo della visibilità delle emissioni ‘well-to-wheel’, che Ferrero segnala di avere lanciato in quattro regioni italiane e che intende ora sviluppare ulteriormente.
F.M.