Tutti i dettagli e il perché della ‘maxi-sentenza’ dell’Antitrust italiana contro Amazon
L’arrivo della sanzione miliardaria inflitta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ad Amazon ha stupito molti (anche per la sua entità) e ha fatto pensare a un certo accanimento dell’authority italiana nei confronti del gigante di Seattle. Diversi commentatori (anche autorevoli) ne hanno parlato come di una multa per “eccesso di efficienza” e ironizzato […]
L’arrivo della sanzione miliardaria inflitta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ad Amazon ha stupito molti (anche per la sua entità) e ha fatto pensare a un certo accanimento dell’authority italiana nei confronti del gigante di Seattle. Diversi commentatori (anche autorevoli) ne hanno parlato come di una multa per “eccesso di efficienza” e ironizzato ricordando come fossero le consegne in Italia prima dell’avvento dell’azienda statunitense (sottintendendo: scadenti).
Chi segue da tempo la vicenda sa però che l’indagine italiana è avanzata parallelamente a un’altra istruttoria analoga dell’antitrust comunitario con competenza sugli altri paesi dello spazio economico europeo (che Amazon, secondo rumors, parrebbe intenzionata a chiudere con un accordo per evitare un’altra maxi-multa) e che anche negli Stati Uniti l’attenzione sull’offerta dei servizi logistici di Amazon – in particolare le ‘relazioni pericolose’ del servizio Fba con Prime – sta crescendo.
L’indagine italiana, insomma, pare essere tutto meno che l’iniziativa solitaria di una authority eccentrica. Tanto che la sua conclusione è stata pubblicamente elogiata dalla Commissione Europea, che ha evidenziato la “stretta collaborazione” creatasi nell’ambito della Rete europea della concorrenza (composta dalla stessa Commissione e dalle authority antitrust nazionali, ndr) per garantire la coerenza dell’inchiesta italiana con quella delle indagini comunitarie, appunto tuttora in corso.
Probabile quindi, piuttosto, che il pronunciamento italiano farà da apripista ad altri provvedimenti (di tenore analogo o meno) in materia. Anche per questo motivo può essere utile – pur tra i molti omissis presenti nel documento – ripercorrere alcuni dei nodi fondamentali del provvedimento dell’Agcm.
Le condotte contestate: non solo Fba ma anche Sfp
Come visto più volte su SUPPLY CHAIN ITALY, l’indagine puntava a verificare se l’utilizzo di Fba (Fulfillment By Amazon, ovvero ‘la logistica di Amazon’, che comprende servizi di magazzinaggio e consegna offerti direttamente dall’azienda) da parte dei venditori terzi attivi sul marketplace avesse garantito loro “un insieme di vantaggi essenziali per ottenere visibilità e migliori prospettive di vendite”. Tra questi l’authority elencava: il poter sfuggire alle valutazioni (in particolare negative) cui devono sottostare gli altri retailer; il potersi fregiare dell’etichetta Prime (cioè poter accedere al bacino di consumatori più attivi e con maggior propensione alla spesa); l’accesso a iniziative quali Prime Day o Black Friday; la possibilità di comparire nella Buy Box (modalità di acquisto privilegiata dalla maggior parte dei consumatori).
Al riguardo l’authority ha concluso che effettivamente servirsi di Fba (quindi acquistare da Amazon, anziché da altri operatori logistici, servizi di magazzinaggio e consegna a destinazione) andava a rimuovere per i retailer “ogni preoccupazione relativa alla misurazione puntuale della loro attività da parte del gestore del marketplace” costituendo anche “la chiave d’accesso privilegiata ai consumatori Prime”.
Di più: l’authority ha anche concluso che la scelta di vincolare il successo (in termini di vendite) di un venditore al suo avvalersi di Fba fosse frutto di una strategia aziendale deliberata. Un convincimento a cui è giunta basandosi non solo sulle email inviate dai responsabili del programma ai clienti ma anche sulle dichiarazioni rese in diverse occasioni dal fondatore del gruppo, Jeff Bezos, agli azionisti.
Per comprendere meglio questo punto va anche sottolineato che, secondo alcuni analisti, le commissioni legate all’utilizzo del marketplace (quelle per i servizi logistici, insieme a quelle per pubblicità e altro) rappresentano ormai per Amazon la fonte principale di entrate (121 miliardi di dollari nel 2021) superando quelli della divisione Aws, ritenuta solitamente la gallina dalle uova d’oro dell’azienda. La logistica insomma non è un elemento ancillare dell’attività del gruppo ma sempre uno dei suoi pilastri.
Tornando al provvedimento: dopo avere ‘bocciato’ sotto il profilo del rispetto della concorrenza la struttura di Fba, l’authority non ha però risparmiato nemmeno il più recente Sfp (Seller Fulfilled Prime, ovvero ‘Prime gestito dal venditore’), iniziativa lanciata nel 2021 per allargare la possibilità di fregiarsi dell’etichetta Prime anche a venditori che si affidano ad altri fornitori logistici.
Il programma prevede per i venditori l’accesso degli stessi a un programma di qualificazione e per quel che riguarda i fornitori logistici terzi la verifica del fatto che questi garantiscano “i medesimi standard che Amazon soddisfa”. In realtà, secondo l’Agcm, Sfp non può essere considerato come un sistema di qualificazione perché l’azienda (che in questo ambito ha concluso accordi di partecipazione solo con Tnt e Brt) ha preteso un ruolo di “negoziazione e interposizione diretta nel rapporto tra vettori e venditori “. In sintesi, cioè, i venditori aderenti a Sfp non possono negoziare autonomamente con il vettore i dettagli contrattuali e tariffari, come invece avviene normalmente, e quindi il programma Sfp non ‘corregge’ le distorsioni generate da Fba.
Le parti sanzionate: tre società lussemburghesi e due italiane
Un passo indietro va fatto per illustrare nello specifico quali siano le società ‘colpite’ dalla sanzione.
La prima è Amazon Europe Core Sarl, con sede legale in Lussemburgo, responsabile della gestione dei siti web dei marketplace europei dell’azienda e quindi anche di www.amazon.it. Lussemburghese è anche Amazon Services Europe Sarl, che offre servizi quali Vendita su Amazon e appunto Logistica di Amazon (Fulfillment by Amazon) sui marketplace europei dell’azienda (incluso Amazon.it) così come Amazon Eu Sarl, che si occupa della vendita diretta ai consumatori sui marketplace europei dei prodotti fisici che la società acquista dai fornitori terzi. Hanno invece sede in Italia le altre due società interessate dal provvedimento, ovvero Amazon Italia Services Srl, che offre servizi di assistenza e di supporto a sostegno di Amazon.it, con un team dedicato per Fba e Amazon Italia Logistica Srl, che fornisce servizi di natura logistica con i centri distribuzione svolgendo anche attività postali e di corriere.
Il punto di vista di Amazon: nessuna separazione tra mercato on e offline
Amazon, si legge nel provvedimento, ha ovviamente contestato molte delle ricostruzioni dell’authority, la quale a suo dire non avrebbe “correttamente compreso” il suo modello di business, basato sul “soddisfacimento delle esigenze dei consumatori”. Più nel concreto l’azienda ha sostenuto di non avere forzato i venditori terzi a sottoscrivere Fba – il quale in sostanza verrebbe scelto perché “oggettivamente più efficiente e conveniente dei servizi concorrenti di logistica” – e di non avere vincolato l’ottenimento di visibilità all’adesione al servizio, sottolineando proprio che ad esempio Prime sia accessibile anche “attraverso il programma Seller Fulfilled Prime“.
Il punto però più interessante e più cruciale per il settore – nonché forse per il ricorso che l’azienda ha annunciato di voler presentare – è però un altro e più precisamente quello che riguarda la definizione del mercato rilevante. L’Agcm ha infatti deciso di circoscriverlo al mercato italiano dei servizi di intermediazione su marketplace, una definizione che secondo l’azienda sarebbe “indebitamente ristretta” perché – questa è la sua posizione – “Amazon compete nel più ampio mercato delle vendite al dettaglio, indipendentemente dal canale utilizzato”. Pertanto, prosegue il ragionamento, non gode di “alcuna posizione dominante”.
Questa valutazione è stata rigettata dall’authority, per la quale il punto di vista di Amazon è sbilanciato dal punto di vista del consumatore. “La sola esistenza di una multicanalità nelle abitudini di acquisto dei consumatori non è indicativa della sostituibilità tra i diversi canali nella prospettiva dei retailer” recita il documento. Non solo: secondo l’authority le differenze tra canale fisico e canale online sono “tangibili anche nella prospettiva del consumatore finale per il quale i due canali sembrano porsi in rapporto di complementarietà”. In estrema sintesi, l’authority ritiene che (ad oggi?) una piena sostituibilità tra acquisto fisico e on line possa valere solo per un ristretto sottoinsieme di consumatori (che si distingue sia per la sua ‘alfabetizzazione informatica’, sia per ragioni geografiche come pure di predilezione personale) e che anche in questo sottogruppo i due canali siano spesso utilizzati in parallelo, a seconda delle esigenze connesse a ogni singolo acquisto.
La maxi-sanzione: nessuna attenuante e una maggiorazione del 50%
L’entità della sanzione inflitta dall’antitrust italiano ad Amazon ha stupito molti ma è stata circostanziata nel provvedimento dall’authority, che più volte ha sottolineato la gravità del comportamento messo in atto dall’azienda da una posizione di (testuale) “iper dominanza”. Considerato che la normativa prevede che l’autorità possa applicare una sanzione amministrativa pecuniaria di importo fino al 10% del fatturato delle società in questione, Agcm ha detto di avere calcolato l’ammontare massimo sulla base dei ricavi 2020 della capogruppo Amazon Europe Core Sarl (non resi noti con precisione, ma compresi tra i 70 e gli 80 miliardi di euro). Senza entrare nel dettaglio degli altri criteri, va aggiunto di avere considerato la durata delle infrazioni (calcolata in 5 anni e 11 mesi), ha evidenziato di non avere riconosciuto circostanze attenuanti e ha spiegato di avere deciso invece di applicare diverse maggiorazioni. La più consistente è un incremento del 50% (ovvero il massimo consentito) dell’importo a cui era fin lì pervenuta, applicato – come previsto dalla normativa – in considerazione delle dimensioni “particolarmente significative” del gruppo a livello mondiale, giungendo così alla cifra finale di 1.128.596.156,33 euro.
Le altre misure: libera scelta degli operatori logistici in Sfp
Oltre alla maxi-sanzione, l’Agcm ha poi anche indicato una serie di misure che Amazon dovrà attuare per correggere gli squilibri in atto. Le azioni indicate sono state considerate come “la modalità meno invasiva tra quelle potenzialmente efficaci” per ottenere questo risultato. Sicuramente di tratta di azioni meno impattanti di quelle che l’authority ricorda di avere aveva prospettato in una Comunicazione delle Risultanze Istruttorie e che sarebbero consistite nell’imposizione ad Amazon di astenersi da “ogni attività connessa alla fase di consegna dei pacchi” limitando la propria presenza nel mercato italiano della logistica per e-commerce “all’offerta di servizi di logistica di magazzino nei propri centri di distribuzione”. Queste misure, che pure erano state ritenute, “proporzionate ed efficaci”, sono state scartate a favore di un insieme di azioni che puntano a ricreare “un sistema di pari trattamento di tutte le offerte presenti sulla piattaforma, che non dipenda dall’operatore di logistica scelto dal venditore terzo per l’evasione dei propri ordini”.
In estrema sintesi, e per citarne solo alcune, l’azienda dovrà rivedere il programma Sfp facendo sì che il sistema preveda unicamente la qualificazione dei venditori terzi e permetta a questi di avvalersi dei servizi di logistica di fornitori scelti liberamente. In sostanza Amazon dovrà cioè abbandonare ogni ruolo di intermediazione e in particolare non potrà negoziare con loro tariffe o elementi contrattuali. Parallelamente decadranno, rispetto a questi aspetti, gli accordi che Amazon ha già in essere con Tnt e Brt per gli stessi servizi. In generale Amazon dovrà sottoporre allo stesso sistema di valutazione tutte le offerte di venditori terzi presenti sulla propria piattaforma.
“Solo l’adozione di tali misure, le meno invasive tra quelle potenzialmente efficaci, potrà consentire lo sviluppo di un’offerta di servizi di logistica integrata da parte di operatori di mercato, comprensiva delle attività di gestione del magazzino e di consegna degli ordini, a cui sia possibile associare l’etichetta Prime, in grado di esercitare una pressione competitiva effettiva sul servizio di logistica offerto dalla società e contrastare gli effetti della strategia abusiva di self-preferencing accertata in questa sede” è la conclusione dell’authority.
Francesca Marchesi
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